Poco prima che scattasse il lockdown – un termine che ormai ci suona sinistramente familiare e che non avremmo mai immaginato di usare con tanta disinvoltura come in un brutto blockbuster apocalittico – sarei dovuta partire per Berlino. Per una abituata a non programmare mai niente nella vita, avevo fatto una piccola deroga ai miei principi di improvvisazione e, dopo un inverno passato a lavorare, il mio piano era di concedermi una vacanza berlinese e dedicarmi solo a scrivere. Non sono più partita, per cui la quarantena si è abbattuta su di me senza che avessi nulla da fare. Devolvere alla scrittura il cosiddetto «tempo ritrovato» – altra espressione familiare e odiosa, considerando che la cosa bella del tempo è proprio perderlo – era fuori dalla mia portata. Ho letto l’articolo di una scrittrice che confessava quanto questo periodo si fosse trasformato in un apprendistato ai film di supereroi. «Avrei potuto approfittare della pandemia per diventare una persona più colta, migliore» dice, «e invece non faccio altro che guardare film pieni di effetti speciali».
L’ho sentita molto vicina, io personalmente non mi sono data ai supereroi ma a prepararmi da bere da mezzogiorno e giocare a backgammon. Sono tornata a vivere nella mia vecchia casa dove c’è un giardino e dove siamo in tre, abdicando a quel principio minimo di autonomia che mi ero regalata negli ultimi mesi quando mi ero affittata un mini-appartamento per conto mio. Insieme all’alcol e al backgammon ho riscoperto il piacere del coinquilinaggio: bere in compagnia e avere qualcuno con cui giocare. Incazzarmi per la sfortuna dei dadi era un’ottima valvola di sfogo, così come incamerare l’insofferenza da cattività in puro agonismo ludico è stato un esercizio più spirituale della meditazione.
Quando è arrivata la primavera e le giornate si sono allungate, il confine del giardino ha cominciato a sembrare una gabbia per umani in uno zoo etico. Due alberi con i boccioli, l’aiuola con le erbette aromatiche, le margherite piantate in blocco. Gli addetti allo zoo etico avevano approntato una buona scenografia. È spuntata anche un’unica fragola che non sarà facile spartirsi in tre. C’è il mio gatto che presidia il territorio e soffia a tutti i gatti randagi del vicinato appena tentano di scavalcare il recinto.
Quando il mio dirimpettaio, sempre con l’annaffiatoio e il cellulare in mano, fa corsi di mindfulness in remoto e disquisisce sul fiorire della natura, l’aria limpida, i pesciolini nei fiumi e gli animali che ripopolano il pianeta, penso al mio gatto e alla sua totale mancanza di empatia verso il mondo. Non ha alcuna intenzione di condividere la sua ciotola con i più bisognosi, né di spalancare le porte di una proprietà privata interiorizzata come diritto inalienabile. Nell’eventualità che tutti gli esemplari della sua specie morissero per un virus letale, se ne starebbe a spiare i cadaveri sull’asfalto trincerato dietro la rete e a leccarsi i baffi. È l’equivalente di un redneck che sputa tabacco dondolandosi in veranda, pronto a puntare il fucile a chiunque osi avvicinarsi.
Se l’universo fosse gestito dai gatti, o quantomeno dal mio gatto, vivrebbero sempre tutti in quarantena, armati fino ai denti, si azzufferebbero per conquistare una femmina e poi le concederebbero il piacere di una scopata a meri fini procreativi. Accontentandomi della mia natura umana, guardo la strada oltre il giardino che, a seconda della luce, assomiglia a uno scorcio da città messicana o da litorale laziale; in entrambi i casi c’è un sottofondo marino fantasmatico che rende la prigionia ancora più paradossale, come quei carceri di massima sicurezza costruiti sulle isole.
Quando il mio gatto si distrae e va ad appisolarsi sul divano dentro casa, do i buoni spesa ai gatti randagi, sottraendo un po’ di croccantini dalla sua ciotola. Ma la mia ribellione ha i minuti contati: sento subito avvicinarsi il suo passo felpato che ha la stessa carica ansiogena dei droni mandati a stanare i passeggiatori sulle spiagge deserte o i barbecue pasquali, e devo arrendermi a quel soffio minaccioso. Per quanto sia libero di uscire e fare quello che gli pare, il mio gatto è totalmente disinteressato a valicare il recinto del giardino: gode solo nel presidiare i confini e nel respingere gli intrusi. Quando tutto è sotto controllo, può tornare ad appisolarsi sul divano e pascersi nel sonno dei giusti.
La verità è che il sonno dei giusti non mi ha mai fatto dormire.