Le altre cartoline dalla quarantena

Le altre «Cartoline dalla quarantena»:

E chi non ha il sonno dei giusti?
di Veronica Raimo
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/e-chi-non-ha-il-sonno-dei-giusti.html

Un piccolo pezzo di muro giallo
di Philippe Forest
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/un-piccolo-pezzo-di-muro-giallo.html

Dalla finestra
di Vinicio Capossela
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/dalla-finestra.html

Scendere a patti con il tempo
di Angelo Ferracuti
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/scendere-a-patti-con-il-tempo.html

Le nostre finestre sono diventate tappeti volanti
di Francesca Mannocchi
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/le-nostre-finestre-sono-diventate-tappeti-volanti.html

Oltre la siepe, la vita e l’Unheimliche
di Sandro Veronesi
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/oltre-la-siepe-la-vita-e-lunheimliche.html

Chiamiamoci come tanti barone Lamberto
di Nadia Terranova
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/chiamiamoci-come-tanti-barone-lamberto.html

Sul ponte sventola bandiera gialla
di Björn Larsson
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/sul-ponte-sventola-bandiera-gialla.html

La runner degli ulivi
di Lidia Ravera
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/la-runner-degli-ulivi.html

In attesa di quel cappuccino
di Paolo Di Stefano
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/in-attesa-di-quel-cappuccino.html

Isolati, ma non soli
di Luigi Forte
https://www.azione.ch/cultura/dettaglio/articolo/isolati-ma-non-soli.html

 

 

 


La runner degli ulivi

Cartoline dalla quarantena - Borgo Carige, per chi ha bisogno di attività fisica per il proprio benessere questi sono tempi difficili
/ 30.03.2020
di Lidia Ravera

L’editto che chiudeva le porte del Regno e imponeva agli italiani di non muoversi, mi è giunto una sera, mentre stavo in campagna. A Borgo Carige, bassa Maremma, in una casa semplice e piena di luce, immersa in un uliveto, lontana da qualsiasi insediamento urbano, che ho affittato per 15 anni e che uso per isolarmi a scrivere, quando la città si fa pesante. Siccome ero lì (qui), lì sono rimasta. E lì (qui) vivo da un tot di settimane.

Sono perfettamente obbediente: resto in casa. Frequento soltanto mio marito, quarantenato con me.

Le mie giornate, da quando la pandemia ci ha messi agli arresti domiciliari, non sarebbero cambiate affatto se non fossero intervenute due varianti: ho lasciato a casa la signora rumena che pulisce casa al posto mio, dato che io lavoro molto, da sempre, e produco reddito, come i maschietti di una volta (un caro ricordo). L’ho lasciata a casa per proteggere lei e me stessa, continuando a pagarle lo stipendio, perché mica è colpa sua se deve restarsene a casa. Prima variante perciò: quando sono pronta per mettermi a scrivere, mi armo di ramazza e straccio, scopo lavo spolvero rifaccio il giaciglio in cui ho dormito lustro il lavandino vuoto la pattumiera. Il tutto con la silenziosa collaborazione di mio marito. Per evitare la noia che mi provoca il lavoro domestico, collego con un altoparlante Bose il mio fido spotify e mando a volume da discoteca pop d’altri tempi: il primo Springsteen, Janis Joplin, Frank Zappa, David Bowie. Cose così.

Finito di danzare le pulizie, in una casa davvero poco meno sporca di prima (ho buona volontà, ma mi manca il know how) mi sistemo davanti a un tavolino di legno tarlato, apro l’iPad e incomincio a lottare con il romanzo che sto scrivendo da mesi. Faccio, cioè, quello che ho sempre fatto, dall’età di 19 anni. Perché è dall’età di 19 anni che ho lottato contro tutto e contro tutti per potermene restare chiusa in casa a scrivere.

Dunque l’unica variante è che mi tocca fare quello che mia madre ha fatto per tutta la vita? No, ce n’è un’altra. Ed è ben più grave, una vera privazione: l’attività sportiva all’aperto. Da quando ho memoria, io, alle otto del mattino in estate, alle undici in tutte le altre stagioni, corro per un’ora. Quando ero più giovane, in un’ora correvo 10 chilometri, adesso ne corro sette, massimo otto, ma sono regolare e ostinata, che piova o tiri vento, io corro per quel tempo, un giorno sì e un giorno no. Il giorno in cui non corro cammino a passo veloce per un’ora e nel pomeriggio faccio pilates.

Su questa pratica combinata ho costruito tutte le mie sicurezze. Ho bruciato grassi, scatenato adrenalina, alzato le difese immunitarie, mantenuto la taglia 42, curato l’osteoporosi e sgominato l’insonnia. Da quando ero una ragazza corro come se il tempo mi corresse dietro.

Corriamo ancora, io e il tempo, ma finora non mi ha presa.
(Io vivo, lui passa)
Sono alta un metro e sessantadue, peso cinquantadue chili (cinquantatre, se la sera prima ho bevuto parecchio), ho energia da vendere (infatti la vendo) e neppure il coronavirus ha intaccato il mio sostanziale umore positivo.

Almeno fin quando un nuovo editto ha messo fuori legge l’esercizio fisico all’aperto. Fino a quel momento, i pigri, che sono la maggioranza della popolazione italiana, gli sportivi da divano che si ingozzano di partite giocate da altri, mi hanno guardata con la tranquilla ammirazione di chi sa riconoscere uno stile di vita salutare e volentieri lo condividerebbe, se bastasse schiacciare un bottone, invece di sgambettare per un’ora.

Mai avrei pensato che si gonfiasse, nei confronti di chi ha sposato la causa di una longevità senza costi aggiuntivi per gli ospedali, un’ondata di ostilità fuori controllo. Perfino in televisione , inquadrano con astio la stessa giovane donna in calzoncini corti e coda di cavallo che ammiravano fino a ieri.

Anche qui, benché siamo in aperta campagna, con un’unica strada vicinale frequentata da qualche pecora e pochi cani, è scattata la caccia al runner. Non puoi correre. Nemmeno da sola.

Nemmeno se hai compilato l’autocertificazione dove sta scritto che alla tua età con una osteoporosi conclamata e diagnosticata, l’esercizio fisico è un obbligo e non un optional.

Sei una «bastarda delle seconde case», una che corre mentre gli altri soffrono, hai un bel dire che non ti sei spostata lì (qui) per il week end ma vivevi già lì (qui) per scrivere in pace il tuo romanzo, che ti sei autosegregata da alcuni decenni, perché sei sana come un pesce ma pazza da legare come tutti quelli che passano tutta la vita a fare sempre la stessa cosa... niente. Nessuno ti ascolta.

Fioccano le multe. Perciò, da ieri, corro in tondo attorno a ventiquattro ulivi. Settecento giri. Se un drone mi inquadra sarò arrestata per uso improprio della natura. Ma non importa. Gli ulivi sono bellissimi.