Dal 2004, Massimo Pacciorini-Job, nel centro di Giubiasco, tiene e dirige una piccola ma gradevole galleria per proposte espositive di fotografi, artisti e scultori locali. Nato e vissuto a Bellinzona, figlio di ferrovieri, negli anni scorsi ha seguito la cronaca per i giornali ticinesi mentre, per quanto riguarda l’amato reportage, tra i suoi molti lavori, segnaliamo quello che ha prodotto ed esposto al Dazio Grande nel 2011, La quotidianità in Terra Santa.
Quest’ultimo progetto, invece, si gioca tutto in casa: un perimetro di indagine compreso, come dice il titolo della mostra, tra due statue: l’Helvetia situata sulla piazza della Stazione (l’Elvezia in cammino, di Remo Rossi, protagonista della scena artistica ticinese del dopoguerra), e quella che si trova fuori dall’Hotel Liberty, nei pressi di Bellinzona Nord, assai meno interessante artisticamente e ricalcante l’iconografia delle monete nazionali: una scultura che appare un simbolo, più che di una patria, di un certo kitsch che non risparmia neanche le nostre latitudini.
Il lavoro fotografico di Pacciorini-Job attraverso immagini anche liriche, presenta una cittadina inedita
Per Pacciorini la ricognizione fotografica è l’occasione per svestire l’abito di fotoreporter e diventare topografo. Pur nel contenuto numero di una trentina di immagini, il risultato, per chi conosce la capitale, non può essere che sorprendente e inedito. Esso rivela, soprattutto, una stratificazione di epoche, di segni dell’attività dell’uomo, di modi di vivere e di abitare che si sono susseguiti nell’arco di poche generazioni. Vi troviamo aspetti della bellissima cittadina a inizio secolo, quando cominciò a crescere grazie allo sviluppo economico e demografico dato dalla Gotthardbahn. Seguono le costruzioni popolari degli anni Sessanta e Settanta, ed infine l’attuale conflitto sulla concezione di territorio per usi diversi e contrastanti.
Tra tutte le facce della cittadina emerge, proprio per l’affetto che ne traspare dalle immagini, quella del quartiere di San Paolo, oggi periferia alle prese con una metamorfosi continua, in parte incontrollata e non pianificata. Forte, inoltre, la presenza – o bisognerebbe dire l’onnipresenza – della ferrovia, che tanto ha caratterizzato l’identità della cittadina, mentre, più lontana, poco più di un’eco, l’autostrada accanto al fiume Ticino. Tra queste inquadrature, sullo sfondo, verso nord la prima e verso sud la seconda, le familiari e rassicuranti sagome del Pizzo di Claro e del Castelgrande – immutabili punti di riferimento.
Chiaramente non si tratta di una fotografia di tipo turistico, non rispettando le gerarchie dell’iconografia classica ad uso dell’«industria dei forestieri», come veniva chiamata un tempo. In compenso, vi è una concretezza nuova: l’obiettivo fa conoscere e scoprire angoli inaspettati – come se, e l’ipotesi sembra confermarsi, la fotografia aiutasse a conoscere la realtà. Tra le immagini più liriche, vorrei segnalare quelle che riguardano i territori ancora ibridi, agricoli e non ancora industriali, caratterizzati da costruzioni precarie e scalcinate – quasi appartenenti a un altro tempo.
Sul piano formale, nell’insieme, c’è ancora traccia dell’essere fotoreporter in Pacciorini, con la bordatura dell’inquadratura caratteristica di una certa scuola di Cartier-Bresson; vi è spazio anche per qualche cenno quasi surrealista (il cavallo bianco posto nel vecchio edificio vicino alle Officine ricorda i mondi di Josef Koudelka) mentre il bianco e nero scelto per il progetto sembra un omaggio a Gabriele Basilico, esempio citato anche da Carlo Monti nella sua puntuale introduzione.
Abbiamo detto: è il ritratto di una città che si appresta a diventare «grande», ma come tale deve e dovrà affrontare un nuovo ordine di problemi, come, ad esempio, la gestione del traffico, gli spazi di inclusione, gli spazi sociali e non da ultimo un’offerta culturale che vada oltre la semplice gastronomia e i concerti.
Più che a una ricorrenza (il fotografo festeggia, con questa esposizione, i sessant’anni), le immagini mi sembrano nate da una riflessione meno episodica e più profonda sul proprio mondo. Ma lungi dalla malinconia, c’è ancora un atteggiamento curioso e desideroso di capire e conoscere il proprio piccolo universo cittadino.