Viale dei ciliegi

/ 19.11.2018
di Letizia Bolzani

Lauren Wolk, L’anno in cui imparai a raccontare storie, Salani. Da 13 anni. 

Un’opera prima di un’autrice americana di grande maturità stilistica (non il solito sbandierato autore giovanissimo), che alla soglia dei sessant’anni è stata accolta da ammirazione unanime da parte della critica internazionale. Da più parti il romanzo è stato accostato a Il buio oltre la siepe, ma è indubbio che, seppure l’impegno civile e la lotta contro l’ingiustizia e il pregiudizio ne siano temi cardine, si tratti di un’opera con una sua energica personalità. Il titolo originale, Wolf Hollow (La Conca dei Lupi), di grande connotazione simbolica, ne avrebbe forse rappresentato meglio il contesto, che il titolo italiano rischia invece di fare fraintendere. Non si tratta di narrare storie, ma di assumere una posizione nei confronti della verità.

Siamo in un contesto rurale della provincia americana, nel 1943, la guerra che si combatte in Europa fa sentire i suoi cupi rimbombi nel cuore di molti personaggi. Io narrante della serrata vicenda è Annabelle, che quell’anno, l’anno dei suoi dodici anni, è costretta a congedarsi dall’infanzia spensierata – dove c’è sempre qualcuno a cui puoi delegare le scelte (dove puoi nasconderti «in un fienile con un libro e una mela» lasciando fuori il mondo) – e deve assumersi la responsabilità di ciò che dice e ciò che fa. Un fardello pesante, ma Annabelle è coraggiosa: «me lo accollai ugualmente, e lo portai come meglio potevo». In questa frase è racchiuso tutto il senso etico della ragazzina, il suo essere, davvero, un’eroina. La frattura con il mondo infantile viene brutalmente operata dall’ingresso, nella scuola e nella comunità, di una ragazza nuova, Betty, dal comportamento violento e malvagio.

Non c’è redenzione per il male che compie, c’è il racconto, drammatico e asciutto, dei suoi atti di bullismo nei confronti degli altri ragazzi e dell’ostilità accanita nei confronti di Toby, il terzo potente protagonista del romanzo, un uomo solitario, provato dalla guerra, che vive emarginato nei boschi, ma che ha, in Annabelle e nella sua famiglia, degli alleati accoglienti e non giudicanti. Sarà Annabelle ad accollarsi, appunto, in prima persona, l’onere di lottare contro i preconcetti, le ingiustizie, il male. E se il finale non porterà troppo facili e trionfanti soluzioni, avrà tuttavia una sua luce di speranza. Non possiamo sempre trovare delle ragioni per il male, ma possiamo combatterne l’insensatezza, assumendo il fardello di scelte giuste e coraggiose.

Céline Claire – Qin Leng, La tempesta, La Margherita Edizioni. Da 3 anni. 

Un albo incantevole, che riesce a parlare ai bambini di accoglienza, solidarietà e integrazione, ma facendolo attraverso una storia bella in quanto tale, senza le forzature che spesso appesantiscono i libri troppo tesi a portare «un messaggio». Le illustrazioni, molto evocative, subito ci portano dentro un bosco, dove vari animali stanno lavorando sodo per fronteggiare una tempesta in arrivo. Ma nella nebbia, tra gli ululati del vento, ecco due ombre avanzare in lontananza. In quelle due ombre, che sapientemente l’illustratrice profila nella pagina, si intravvedono due figure di viandanti, uno più alto e uno più basso. Sono Grande Orso e il suo piccolo: vengono da lontano, non hanno niente, tranne qualche sacchettino di tè, chiedono di poterlo scambiare con un riparo e un po’ di cibo. In quei due orsi, che «procedono a fatica, controvento, stretti l’uno all’altro», c’è la sintesi poetica, simbolica, a misura di bambino, di tutti i popoli migranti in cammino. Gli altri animali sono diffidenti, non aprono le loro porte.

Solo un cucciolo di volpe va loro incontro offrendo una lanterna, ben conscio della povertà del suo dono, che non sazia né scalda come il cibo o il fuoco. Eppure proprio quella lanterna – ottima idea narrativa, di altrettanta forza simbolica delle intense immagini – sarà d’aiuto non tanto agli «stranieri» ma proprio agli animali del bosco, quando avranno bisogno, a loro volta di chiedere un riparo. E di chiederlo agli «stranieri». Una storia che illumina i cuori.