Sarah Kaminski-Maria Teresa Milano, Il libro della Shoah, Sonda. Da 11 anni.
Ricordare per combattere l’indifferenza. Ricordare perché non accada mai più. Ricordare, ossia raccontare la Shoah alle giovani generazioni, perché non se ne perda la memoria. Il 27 gennaio, Giorno della Memoria, dovrebbe essere un’occasione preziosa da onorare, non una vetrina editoriale per promuovere l’ennesima novità libraria sul tema. Volutamente sceglierò dunque dei libri che non sono novità, a cominciare da questo, che si presenta come una raccolta interdisciplinare di materiali narrativi, storici, artistici, documentari. Le due curatrici, note specialiste di storia e cultura ebraica, offrono testi narrativi, cioè racconti, di autori del calibro di Uri Orlev o Lia Levi; testi saggistici, documenti storici, interviste a sopravvissuti, fotografie, illustrazioni, riproduzioni di celebri dipinti. Il volume si rivolge ai ragazzi, ma anche agli adulti che con loro vogliono condividere un momento educativo.
Importante è il sottotitolo: Ogni bambino ha un nome, perché ogni vita conta, ed è un dovere di tutti fare il possibile per restituire un’identità ad ogni bambino a cui è stato oscurato il futuro. Gli approfondimenti che il volume presenta hanno infatti una particolare attenzione al mondo dell’infanzia. Storie vere, di bambini e bambine veri, in quanto per non rendere congelata e istituzionale la memoria occorre mantenerla legata alla vita, ricordando che si parla di persone, come tutti noi. Brunetto Salvarani, nel testo che consegna al volume, indica il rischio che la Giornata della Memoria possa diventare un’icona, e quindi perdere il raccordo con il nostro presente. Poiché, come sottolinea Anna Foa nel suo contributo, «la Shoah non è una questione dei soli ebrei, ma di tutti».
Uri Orlev, Corri ragazzo corri, Salani. Da 11 anni.
Uri Orlev nacque a Varsavia nel 1931 e attraversò in pieno la tragedia della Shoah. Visse nel ghetto di Varsavia con il fratellino e la madre, fino al giorno in cui la donna venne uccisa dai nazisti e i due bambini vennero deportati a Bergen-Belsen. Fu in quegli anni bui che la sua vocazione di narratore iniziò a farsi strada, perché con le storie egli si poté dare forza, e soprattutto poté offrire un rifugio al fratellino.
«Nei miei racconti dischiudevo per lui le porte di mondi fantastici, di castelli abitati da persone gentili, di tavole imbandite. Lui sognava, e per qualche attimo avevo l’illusione di sottrarlo a quell’orrore». Queste parole le ho personalmente raccolte da Orlev, molti anni fa, quando – da Israele, dove si era stabilito dopo la liberazione – venne in Italia a incontrare i ragazzi, in occasione dell’uscita di un suo romanzo fantastico, La corona del drago, che veniva ad aggiungersi alle sue altre opere per i giovani lettori, tra cui il celebre L’isola in via degli Uccelli (Salani, come la maggior parte delle sue traduzioni italiane). Il libro che segnalo qui, forse il suo più intenso, è però Corri ragazzo corri: la storia vera di un bambino di otto anni che fugge dal ghetto di Varsavia e che in fuga trascorre molto tempo, solo, senza niente, senza protezione. Senza rassegnarsi mai, neanche quando – poiché il chirurgo si rifiuterà di operarlo, riconoscendolo ebreo – perderà un braccio.
Eppure lui corre e resiste, nascondendosi nella foresta, bussando alle porte di tanti villaggi, e trovando, come nelle fiabe, aiutanti e nemici; scampa a mille pericoli, a ritmo serrato, come nelle avventure. Solo che questa non è né una fiaba né una storia d’avventura, ma una storia vera. Una storia drammatica, ma dal lieto fine. La storia di Yoram Friedman, che molti anni dopo, in Israele, Uri Orlev ha ascoltato dalla sua viva voce. E ha raccontato in questo bel libro, perché se ne serbi memoria.