Viaggio in salita fra le mura di casa

La brava Begoña Feijoó Fariña si è esibita al Foce di Lugano in uno spettacolo che racconta le difficoltà di una donna alcolista
/ 04.02.2019
di Giorgio Thoeni

Un po’ in sordina, ma non per questo da ignorare, è stato il passaggio alla rassegna Home del Teatro Foce di Lugano di Begoña Feijoó Fariña con Maraya, dell’amore e della forza, monologo di cui è autrice e attrice, tratto da un suo recente romanzo pubblicato nel 2017 dalla casa editrice AUGH! di Viterbo.

Per chi non lo ricordasse, Begoña – concedeteci la confidenza ma il nome è piacevolmente evocativo – è nata a Vilanova de Arousa in Spagna. All’età di 12 anni si trasferisce in Svizzera dove successivamente si laurea in Scienze Biologiche. Vive a Brusio dove è organizzatrice di eventi per la commissione comunale Casa Besta e ha fondato con Chiara Balsarini la compagnia inauDita. La vena letteraria di Begoña non è una novità, nel 2015 ha esordito con una raccolta di testi fra racconti e poesie, Potere e P-ossesso dello Zahir e altre storie (Youcanprint), un titolo ispirato a Borges, a cui è seguito un primo romanzo Abigail Dupont (Demian).

Lo scorso anno, oltre a ricevere il sostegno dell’Ufficio della cultura dei Grigioni vincendo il concorso Grandi Progetti 2018, Pro Helvetia le ha concesso una borsa letteraria dotata di 25’000 franchi (tra i beneficiari anche il ticinese Massimo Daviddi di Mendrisio): il risultato di una selezione operata su 93 progetti. Oltre ai due autori di lingua italiana sono stati scelti undici germanofoni e sette francofoni. La pagina scritta però non basta, come ha dimostrato lo slancio e il coraggio che ha indotto Begoña a sfidare la scena declinando l’ultima sua fatica letteraria in un sofferto quanto appassionato monologo, quello approdato recentemente al Foce.

La Maraya teatrale racconta le ossessioni di una donna che lotta con disperazione per uscire dall’alcolismo. Una determinazione infarcita di ricordi e profonde amarezze, ferite laceranti come un aborto, una vita vissuta lungo la scalata di una montagna da cui basta poco per precipitare cedendo alla tentazione per la bottiglia, in uno spazio immerso nella solitudine, affollato da fantasmi e ricordi, da suoni che sembrano echeggiare dall’oltretomba. Una cinquantina di minuti senza orpelli, dal divano al comodino, durante i quali, in una sorta di delirio consapevole, Maraya racconta il suo viaggio fra le mura di casa, fra ricordi da cui emerge l’amore per la musica, per la poesia, per la natura con una prosa lucida, scorrevole, dal ritmo studiato.

Lo spettacolo, sostenuto fra gli altri dal Percento culturale di Migros Ticino, apre la porta a una maggiore efficacia interpretativa e, soprattutto, merita una presenza registica meno sospesa e più incisiva. A beneficio del tutto.