Dove e quando
Partout chez soi? Migrations et intégrations dans l’Empire romain. Avenches, Musée romain, Vallon, Musée romain. Fino all’8 gennaio 2017. www.aventicum.org; www.museevallon.ch


Via, lontano da questo luogo

Una doppia esposizione dimostra come il fenomeno della migrazione, con tutti gli scambi che ne derivano, faccia da sempre parte del genere umano
/ 14.11.2016
di Marco Horat

Molte sono le cause che spingono le genti a migrare verso altri lidi più accoglienti o presuntamente tali: ci sono «gli sconfitti di una guerra che sfuggono al ferro del vincitore che ha distrutto la loro città e li ha spogliati di ogni bene; oppure si tratta di cittadini proscritti in seguito a una guerra civile. Talvolta si fugge per il sovrappopolamento di una regione o a causa di epidemie, di terremoti oppure perché attratti da una regione fertile della quale si raccontano meraviglie». 

A scriverlo è Lucio Anneo Seneca, vissuto duemila anni or sono, al quale, in un certo senso, fa eco Cicerone quando afferma che «agiscono male coloro i quali vietano agli stranieri di godere dei vantaggi della città e li bandiscono; un fatto del tutto incivile». Naturalmente bisogna rapportare i termini usati dagli scrittori romani con le nostre situazioni e interpretazioni moderne; le parole non hanno sempre gli stessi significati.

Ma il principio era già affermato agli inizi della nostra era, in rapporto alla presenza del barbaro straniero con il quale i romani dovevano fare i conti: anche allora popoli di diversa cultura bussavano alle porte di un impero già cosmopolita di per sé, visto in qualche modo come una terra promessa, dove convivevano cittadini con diritti civici, peregrini che erano uomini liberi ma non cittadini e schiavi. La storia umana in fondo è sempre stata storia di spostamenti e di incontri (non sempre pacifici, certo) come dimostra il mito stesso della fondazione di Roma ad opera di Enea che, partito da Troia in Asia minore, era approdato in Lazio dopo aver fatto il giro del mondo; un profugo dunque, oltre tutto accompagnato dal padre Anchise, dalla moglie e dai figli.

È questo il tema estremamente delicato quanto attuale che affronta una doppia esposizione allestita nei musei romani di Avenches e di Vallon, ispirata a una analoga iniziativa del Museo di Vindonissa di qualche anno fa. Non sentirsi stranieri da nessuna parte? Ci si chiede provocatoriamente facendo il verso ad affermazioni di segno contrario che oggi si alzano sempre più insistentemente. Il visitatore è invitato a riflettere sull’argomento partendo dal passato per arrivare ai nostri giorni, come pure a confrontare le affermazioni di principio con la realtà dei fatti storici tramandati.

Sei capitoli – il viaggio spesso pericoloso per terra e per mare, l’integrazione dello straniero, la nostalgia, la multiculturalità, l’integrazione religiosa e il sentirsi a casa propria ovunque, visto il principio della libera circolazione – propongono il tema del contatto tra differenti culture, partendo proprio dall’esperienza dell’impero romano che aveva riunito sotto di sé mezzo mondo allora conosciuto, percorso in lungo e in largo da legionari, commercianti, funzionari, marinai, gladiatori, saltimbanchi, artigiani, filosofi e artisti provenienti da tutte le regioni attorno al Mediterraneo; gente che ha lasciato tracce materiali importanti del proprio passaggio. Un crogiuo- lo di popoli, lingue locali, credenze, monete, leggi, usi, costumi che convivevano sotto lo stesso governo e la stessa bandiera in uno scambio continuo di persone, beni, sentimenti e idee. 

Il discorso viene affrontato mediante una serie di reperti scelti con cura dai realizzatori della mostra – Clara Agustoni e Sophie Delbarre-Bärtschi in primis – per la qualità intrinseca degli oggetti, ma anche per la loro portata didattica, il tutto corredato da una discreta quanto efficace messa in scena non scevra di sorprese per il visitatore che viene chiamato in causa in prima persona; vi sono poi filmati realizzati ad hoc, come ad esempio un’intervista con il portiere di colore dello Young Boys sul tema della nostalgia. La provenienza degli oggetti è varia: si passa da ritrovamenti anche recenti nella regione dei tre laghi (vedi la rara figurina in bronzo che ritrae Icaro con le ali spiegate) ai prestiti dei principali musei svizzeri e di alcuni musei tedeschi e olandesi. 

Ci sono custodie per coltelli venduti a viaggiatori passati per le terme di Baden come souvenir, fibule da Avenches ma realizzate nelle Alpi orientali, gioielli di fattura anglosassone, danubiana o tedesca trovati in tombe appartenute a donne straniere forse sposate con uomini di qui, testimonianze della presenza di un oculista greco operante nella regione di Losanna-Vidy, un ex-voto dedicato a Marte da parte di una donna affrancata dalla schiavitù da un romano che l’aveva poi sposata, una stele che ricorda il centurione Fortunatus morto dopo 40 anni di onorato servizio svolto tra Gran Bretagna, Siria e Africa.

Ci sono alcune tavolette incise con scritti talvolta umanamente toccanti come la lettera di un legionario di origine egiziana trovata a Vindonissa, che dal suo presidio in Ungheria scriveva in greco alla famiglia lontana: «Vi ho già scritto sei lettere e voi non mi avete mai risposto – si lamenta – ditemi della vostra salute e di come state. Sono preoccupato e voi non rispondete mai. Scrivetemi per favore». Molto bella una tomba femminile da Minusio-Cadra con oggetti ceramici tipicamente romani ma con fibule e anelli, racchiusi in un cofanetto di legno, di tradizione indigena.

Ovunque come a casa propria: un ideale sociale non facilmente realizzabile che deve fare i conti con i legami che uniscono ognuno di noi alla terra di origine. Un ideale che non esclude comunque la tolleranza e la solidarietà dovuta ad altri esseri umani per le ragioni già ricordate da Seneca. Ma attenzione, concludeva il saggio filosofo: «Una cosa è certa: nessuna porzione di umanità è rimasta nel luogo dove ha avuto origine. Il genere umano si sposta incessantemente, nascono nuove città e nuove nazioni emergono sulle vestigia di quelle antiche. Cosa sono tutte queste migrazioni di popoli se non un continuo esilio di massa?».