Uno struggente commiato

A poco più di un anno dalla scomparsa di Dolores O’Riordan, la band irlandese dei Cranberries si congeda dai fan con un album intenso e malinconico
/ 13.05.2019
di Benedicta Froelich

Come può confermare chiunque abbia vissuto i propri anni formativi immerso nella vivace atmosfera offerta dalla scena pop-rock anglosassone degli anni ’90, non sarebbe un’esagerazione affermare come, ancor oggi, quella particolare stagione musicale non possa prescindere, nell’economia degli ascolti, dalla voce unica e inconfondibile di Dolores O’Riordan. Il vigoroso e, soprattutto, particolarissimo timbro vocale della cantante irlandese – spesso incline a includere una peculiare forma di yodeling nelle proprie interpretazioni – sarebbe infatti stato l’elemento principale in grado di condurre rapidamente al successo mondiale la formazione dei Cranberries, quartetto originario della cittadina fluviale di Limerick, nel cuore dell’isola di smeraldo.

Di fatto, la popolarità della band non sarebbe stata dovuta semplicemente al rinnovato entusiasmo per la cultura proto-celtica tipico del decennio, ma anche e soprattutto ai virtuosismi vocali e al rigore formale della O’Riordan, spesso paragonata, in termini di intensità interpretativa, alla connazionale Sinéad O’Connor. Doti che hanno portato i Cranberries alla consacrazione con un album-capolavoro quale lo struggente No Need to Argue (1994), la cui tracklist vantava una hit del calibro dell’indimenticata Zombie, brano di rara crudezza e potenza: non solo un’esemplare condanna della violenza in terra irlandese, ma anche un vero e proprio showcase delle capacità vocali della cantante. E sebbene, con il passare degli anni, i Cranberries abbiano infine prediletto la facile strada del sound radiofonico e più mainstream, finendo così per tradire le loro radici celtiche a favore di un successo commerciale sempre più vasto, proprio lo strumento vocale della O’Riordan sarebbe sempre rimasto l’unico elemento in grado di innalzarli al di sopra di una rassicurante banalità pop di medio livello.

Anche per questo, nel gennaio 2018, la prematura e pressoché inspiegabile morte dell’appena 46enne Dolores ha colpito come un fulmine a ciel sereno legioni di fan in tutto il mondo, sferrando un fendente micidiale a una scena musicale già duramente provata dai decessi ravvicinati di molte rockstar e performer di alto livello. Ben consapevoli di come una simile perdita fosse insanabile, a oltre un anno da allora i tre membri superstiti della formazione hanno così deciso di dare alle stampe il loro «canto del cigno» – con il quale dire addio al pubblico prima di sciogliere definitivamente una band che, di fatto, non potrebbe mai abbassarsi a propinare ai propri estimatori una qualsiasi sostituta di Dolores. Fortunatamente, l’album stesso (non a caso intitolato In The End) segue il medesimo spirito critico, ed evita accuratamente qualsiasi ambizione a «vuotare i cassetti» a beneficio dei fan – affidandosi piuttosto alla rielaborazione dei vari demo realizzati dal gruppo tra il 2017 e 2018, in previsione di un nuovo lavoro che la dipartita della O’Riordan avrebbe infine lasciato incompiuto. Come prevedibile, In the End mostra quindi un carattere inevitabilmente dolente e nostalgico, evidente fin dal singolo apripista All Over Now, che combina il tipico sound a cui il gruppo ci ha abituati a sonorità inequivocabilmente anni ’80, non troppo distanti dalle sfumature dark di band quali Joy Division e Cure; sonorità il cui influsso è, del resto, altrettanto evidente nella maggior parte delle tracce del CD (si vedano Wake Me When It’s Over e il riflessivo A Place I Know).

Certo, proprio come avvenuto con gli ultimi lavori dei Cranberries, anche quest’album risulta a tratti un po’ risaputo dal punto di vista musicale, e lontano dall’audacia dei primi anni; eppure, qua e là si riscontrano ancora momenti di grande intensità emotiva, come nella dolce ballata Illusion – in cui la voce sognante di Dolores vibra della medesima sensualità degli anni d’oro – e lo straziante Catch Me If You Can, perfetto esempio della rinnovata capacità del gruppo di fondere, nell’arco del medesimo brano, suggestioni quasi hard rock con un cantato inaspettatamente aggraziato e introspettivo. Allo stesso modo, la title track In the End, brano conclusivo del CD, colpisce per il suo carattere delicato e quasi cantautorale, e per la semplicità straziante di liriche piene di rimpianto, che ne fanno il pezzo forse migliore dell’intero disco: «non è forse strano scoprire, alla fine, come tutto ciò che si sognava non sia affatto quel che si sognava?».

Così, sebbene In The End non possa forse definirsi come uno sforzo particolarmente originale o ricercato da parte della band, l’onestà e la sincerità che pervadono ognuna delle sue tracce sono sufficienti a farne un addio ideale per una formazione tanto amata dal grande pubblico – un commiato toccante e, soprattutto, privo di alcun autocompiacimento o presunzione; in linea, dopotutto, con le predilezioni e la cifra artistica mostrate da Dolores O’Riordan lungo gli oltre vent’anni di una carriera contraddistinta da una passione e dedizione pressoché assolute verso la propria arte.