Uno sguardo di gratitudine

Recensioni - Andrea Bianchetti firma un notevole racconto in versi
/ 04.11.2019
di Pietro Montorfani

L’ultima raccolta poetica di Andrea Bianchetti non può non sorprendere chi conosca le precedenti prove apparse tra il 2007 e il 2013, da Sparami amore di cera a Estreme visioni di bianco, pubblicate a Viganello da «Alla chiara fonte», fino alle più recenti Carneficine (ANA Edizioni). L’enfant terrible della poesia svizzera di lingua italiana, capace come pochi altri di infilare immagini pulp e surreali come tante matrioske di un universo allucinato, riesce con Gratosoglio a incanalare la medesima energia linguistica in un racconto in versi estremamente limpido, pulito, lineare, senza per questo scendere a compromessi (il rischio, in casi simili, è quello di una deriva cronachistica e sociologizzante), anzi mantenendo intatta la freschezza stilistica che sempre gli è stata riconosciuta, e con essa un sentimento genuino di poesia pura.

Gratosoglio è davvero, sin nella struttura tripartita in un prima (1925-66), un durante (1966-78) e un dopo (1978-2019), un libro assai ben concepito, frutto di un lavoro attento di cesello, non più un cantiere aperto come alcuni dei titoli precedenti bensì un minuscolo cristallo in sé conchiuso, tutto stretto attorno al quartiere milanese cui il libro si ispira. È la storia di una famiglia che attraversa dapprima la seconda guerra mondiale, poi il boom degli anni sessanta, infine una lenta e malinconica vecchiaia, e che tra piccoli e grandi drammi quotidiani consegna la propria esperienza nelle mani stesse dell’autore, nipote dei protagonisti. Non sarà forse voluto, ma l’aggettivo «grato» suggerito dalla toponomastica (gratum solium, un luogo dove è bello stare) mi pare sia la migliore chiave d’accesso all’anima del libro, costruito come un percorso di gratitudine, di bellezza riconosciuta anche nel poco, a partire dalla propria storia familiare.

La vita di Gianna e Renzo si dipana sotto gli occhi dei lettori con una calma dettata dalle loro parole, in un racconto quasi in presa diretta, senza patemi né ansie, nel quale i fatti si sommano ai fatti a scapito di qualsiasi retorica, anche quando si toccano temi cruciali della storia novecentesca: «Non è vero che gridavano / Viva l’Italia quando feriti / perdevano liquidi nella neve. / [...] gridavano: / Mamma, mamma, mamma». Se la poesia è anche – cosa di cui spesso la si accusa – decidere quando andare a capo, Andrea Bianchetti lo sa fare con maestria, evita scelte stucchevoli e si serve della lingua, persino della sua disposizione spaziale sulla pagina, con il solo scopo di conferire dignità e credibilità ai propri personaggi: «La Gianna va alla porta. / Il Renzo la segue un po’ zoppicante. / Sulla soglia una bambina / di dodici o tredici anni, / con le guance rigate / come le prime mele, acerbe, / nelle giornate piovose».

In un libro che apertamente dialoga con la tradizione poetica novecentesca, soprattutto lombarda, a fatica si troverebbe un’unica fonte ispiratrice: certo il Bertolucci della Capanna indiana, ma anche il milanese Giudici o il romano Bellezza, citato in esergo («di chi possiede, e nel possedere è posseduto»), tutti indimenticati cantori del quotidiano. Il verso di Bianchetti, che pure non disdegna le misure lunghe e lunghissime di un Pagliarani (l’affresco milanese di La ragazza Carla è forse l’archetipo più prossimo a Gratosoglio), rimane agile come quello ungarettiano, ma del giovane Ungaretti non accoglie l’indeterminatezza semantica né la sua cupa Weltanschauung: al celebre (e terribile) «la morte / si sconta / vivendo» risponde un più lieve «A Gratosoglio si sconta / quel che resta della vita». La vita che rimane e la poesia che la celebra: ecco la scelta di campo coraggiosa di questo piccolo, importante libro di versi, stampato molto bene dalle Edizioni Sottoscala di Bellinzona.

Bibliografia
Andrea Bianchetti, Gratosoglio, Edizioni Sottoscala 2019, 118 pagine.