Maria Lassnig è morta nel 2014 a 94 anni. Proprio nel mezzo della grande retrospettiva che la celebrava al MoMA di New York come una delle maggiori artiste del secolo. Una figura epica, si è scritto. Forse non tutti la conoscono. Quale migliore introduzione al suo lavoro mi permetto di riportare la motivazione ufficiale con la quale le è stato attribuito il Leone d’Oro alla carriera alla 55esima Biennale di Venezia nel 2013.
Per oltre sessant’anni Maria Lassnig ha indagato la rappresentazione del corpo e dell’individuo in una serie di dipinti che ritraggono l’artista spesso in uno stato di irrequietezza, eccitazione e disperazione. Con i suoi autoritratti Lassnig ha composto una personale enciclopedia dell’autorappresentazione e – attraverso quelli che chiama i «body-awareness paintings», ovvero i dipinti dell’autocoscienza corporea – ha trasformato la pittura in strumento di autoanalisi e di conoscenza del sé. A novantatré anni Lassnig rappresenta un esempio unico di ostinazione e indipendenza che merita di essere celebrato con il riconoscimento del Leone d’Oro alla carriera.
Nasce l’8 settembre 1919 a Garzern in Austria. Nel 1925 si trasferisce a Klagenfurt dove la madre sposa il fornaio Jakob Lassnig. Nel 1937 si forma come istitutrice di scuola elementare. Dal 1940 al 1945 studia all’Accademia di arti plastiche a Vienna. Dopo il diploma ritorna a Klagenfurt. Nel 1951 si stabilisce a Vienna, poi soggiorna a Parigi con Arnulf Rainer. Si confronta con il Surrealismo e l’Informale. Dal 1960 al 1968 vive a Parigi. Nel 1964 la morte della madre le provoca una crisi profonda. Dal 1968 al 1980 vive a New York dove partecipa a un corso di serigrafia e film d’animazione. È cofondatrice del Women/Artist/Film-makers. Dal 1980 al 1989 insegna all’Università di arti applicate a Vienna. Dal 2000 inizia il suo riconoscimento artistico ed espone alla Serpentine Galleries di Londra, al Museum Ludwig di Vienna, alla Neue Galerie di Graz. Nel 2013 riceve il Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia e, infine, espone al MoMA nel 2014. Muore a Vienna lo stesso anno.
Il Kunstmuseum di Basilea le dedica una retrospettiva, organizzata assieme all’Albertina di Vienna, aperta fino al 26 agosto. Sono esposti un’ottantina fra acquarelli e disegni in rigoroso ordine cronologico. Manca l’emblematico Du oder ich del 2005: un autoritratto nel quale con la mano destra impugna una pistola puntata alla sua testa e con la sinistra un’altra rivolta verso di noi. Ma tutte le opere esposte provengono dalla Maria Lassnig Stiftung e dall’Albertina di Vienna e Du oder ich appartiene a un ricco collezionista.
La mostra inizia con un accademico autoritratto del 1942 realizzato durante gli studi e, teniamolo presente, nel periodo nazista. Subito dopo la guerra i disegni risentono dell’ambiente Surrealista e dagli anni Cinquanta hanno un’impronta tachista. Inizia una sorta di autoispezione nel corpo e nella psiche. I colori sono accesi, le forme indistinte.
A New York, dove si stabilisce dal 1968, i suoi lavori intimisti e introspettivi non vengono capiti. Ritorna a una sorta di realismo adeguandosi, per così dire, all’ambiente circostante dove imperversa la Pop Art. Splendida la serie del 1973 Die Ermordung der ML. Una sequenza impressionante di immagini che raccontano il viaggio dalla vita alla morte attraverso uno specchio rotto, posizionato sopra una sedia, che riflette il suo corpo nudo. Più tranquilli gli autoritratti con degli animali, anche se il mistero e la fragilità si associano all’incredulità e all’assenza in quello del 1975 con due farfalle.
Nel 1978, grazie a uno scambio accademico, si trasferisce a Berlino. Qui conosce lo scrittore austriaco Oswald Wiener che si occupa di psicologia cognitiva. Lassnig ha così modo di confrontarsi con altri, indagare meglio l’osservazione del sé e la percezione del corpo. Nel 1980 la svolta. L’insegnamento all’università di Vienna le permette la sicurezza finanziaria. Inizia così a viaggiare sempre di più e i suoi lavori acquistano colore e determinazione. L’urlo del 1981 – con quelle mani provenienti da dietro che coprono gli occhi – è un condensato di drammaticità, solipsismo, violenza e surrealismo. Negli ultimi anni l’artista inserisce nei disegni uno sfondo ad acrilico, generalmente di colore giallo.
Se all’inizio della carriera Lassnig indaga la propria coscienza attraverso l’uso del corpo alla fine, sopraggiunta la vecchiaia, questa è rivolta verso i propri sentimenti e la loro percezione. In Teddymama del 1998 appare spaventata e mostruosa con in braccio un orsacchiotto. In Das Erinnern – das ist Liebe dell’anno precedente appare con in braccio un bambino e il viso ci osserva con stupore. In Visionen del 2002 lo sguardo appare allucinato con quei tre occhi che sembrano scrutare l’insondabile. Lassnig lavora sin quasi alla fine della sua esistenza con segni sempre più indecifrabili e dolenti nei quali le figure sono deformate e tragicamente oscure.
Bella mostra, limpida e pulita, con un allestimento razionale e una luce diffusa non invadente.
Un’altra esposizione di Maria Lassnig si può visitare fino al 23 settembre al Kunstmuseum di San Gallo.
In questi stessi mesi il Kunstmuseum di Basilea propone alcune altre mostre fra le quali segnaliamo Kunst. Geld. Museum. 50 Jahre Picasso-Story aperta fino al 12 agosto. Il 2018 è il 50esimo anniversario della presentazione al pubblico delle opere di Picasso acquistate l’anno precedente tramite un credito pubblico di 6 milioni di franchi svizzeri ai quali si sono aggiunti 2 milioni raccolti fra i cittadini. Un’occasione per interrogarsi su quale tipo di arte entra in un museo e sui criteri di acquisizione delle opere.