La cultura musicale della Svizzera italiana è generosamente ricca, viva e vivacissima: ecco l’affermazione passe-partout che capita sistematicamente di incrociare nei quattro angoli del cantone, a ogni gradino della scala socioculturale. Un plebiscito di autocompiacimento musicale – e sin qui tutto bene – se non fosse che l’affermazione non corrisponde a verità.
A esser oltremodo ricca – a livelli quasi di bulimia – è la cultura musicale nella Svizzera italiana, vale a dire tutto quello che di musicale vi succede: stagioni, festival, concerti, dischi, trasmissioni, interviste,… ma questa non è la cultura musicale della Svizzera italiana. L’identità culturale di una popolazione e/o di un’area geopolitica è ben altra cosa: è il modo con cui essa stessa sceglie di rappresentarsi e di riconoscersi, principalmente in forme d’espressione definite «arte». È per questo unico motivo che l’arte è – ed è stata ritenuta – un valore assoluto da difendere: perché parla all’uomo dell’uomo, perché nella cultura si può trovare lo specchio di quello che noi siamo. Tutto il resto – l’estetica e il gusto – sono solo piacevolissimi capricci soggettivi.
C’è quindi il dilemma delle preposizioni articolate: cultura nella o della Svizzera italiana. La distinzione può sembrare sottile – al punto che le nostre principali istituzioni preposte hanno creduto per decenni di fare l’una, mentre in realtà si stavano occupando quasi solo dell’altra – anche se poi proprio così sottile non è: se una forma d’arte viene creata, pensata e realizzata in Ticino o nei Grigioni italofoni, essa è cultura della Svizzera italiana. Tutto il resto no.
E non può che dispiacere il fatto di doverci ammettere che Beethoven e i Manhattan Transfer non sono in nessun modo cultura musicale della Svizzera italiana – senza che per questo li si debba evitare, anzi! – ma ben più spiacevole è il dover notare quanto poco sia stato fatto negli anni (soprattutto da quando il benessere ha portato nella nostra regione salutari velleità culturali e ingenti disponibilità finanziarie) affinché si potesse sviluppare un’autentica cultura musicale della Svizzera italiana, senza preclusioni di genere ma chiamando le cose con il proprio nome.
Non a caso una delle più meritorie operazioni compiute in tempi recenti per la cultura musicale della Svizzera italiana non è stata promossa nella Svizzera italiana bensì oltralpe: Percento Culturale Migros, Pro Helvetia e Fondation SUISA hanno infatti voluto dedicare l’ultimo disco della mirabile serie Musiques Suisses – da sempre e per sempre una delle più affidabili guide nella musica svizzera – a una raccolta ragionata di musiche popolari ticinesi. Vüna bela! Panorama popolare ticinese è così il disco fresco di stampa che verrà presentato il prossimo sabato 17 dicembre alle ore 20.00 alla Casa Cavalier Pellanda a Biasca, con la partecipazione dei gruppi Vox Blenii, Vent Negru e Duo di Morcote.
Traghettatrice verso una meta difficile come quella di un ritratto oggettivo e comprensivo della musica popolare ticinese è stata la musicologa – anche lei di origini svizzero-tedesche (sarà un caso?) ma da anni ticinese, anche per il prezioso lavoro svolto alla Fonoteca nazionale – Silvia Delorenzi-Schenkel. Nel breve volgere delle 18 tracce del disco è miracolosamente riuscita a comporre un articolato e seducente mosaico di musica vocale, corale e strumentale; nuova e tradizionale; in dialetto (ovvero: nei vari dialetti) e in italiano: del Sopra – e del Sottoceneri. Arrivando a realizzare lo strumento che effettivamente mancava a chiunque volesse capire qualcosa di più del modo in cui il Ticino e i Ticinesi hanno saputo mettere in musica – cioè nella musica di matrice popolare – loro stessi.
Altre voci – oltre a quelle già citate – che danno vita a questo percorso musicale imprescindibile sono quelle di Giangol, La Cantora, Verbanus, Nicola Maspoli e Piazza Pomée, Marco Zappa, I Bagiöö e i Cantori di Pregassona diretti da Luigi De Marchi.