Sabato 20 maggio ha avuto luogo alla «Sala del Torchio» di Balerna l’inaugurazione della mostra Alcide Rech con vecchi e recenti aeroplanini di carta e tela (fino al 5 giugno 2017). Il titolo riprende, con l’aggiunta dell’aggettivo «recenti» che allude all’ultima produzione pittorica dell’autore (fino al 2016), quello di un singolare volumetto pubblicato dal Rech nel 2014 per i tipi della Stucchi (Vecchi aeroplanini di carta e tela. Quattro righe in controluce, Mendrisio 2014). Singolare per la sua struttura, che alterna scrittura e immagini (i metaforici aeroplanini, appunto), per l’alternanza di prosa e versi (che può ricordare la satira menippea greca e latina e, per l’autobiografismo, – si parva licet… – la dantesca Vita Nova), per il tono tra serio e faceto (lo spoudaiogéloion dei Greci) e per l’originale impasto linguistico arcaizzante (quasi un grammelot alla Fo) che connota lo psicodramma Le matitine colorate collocato a chiusura del libro.
La mostra raccoglie 57 opere, in gran parte oli su tela, un carboncino su carta, risalente al 1963, e pochi quadri a tecnica mista su carta. Tra gli oli, numerosi sono quelli composti negli ultimissimi anni (dal 2014 al 2016), a testimonianza di una rinnovata e forse addirittura incrementata creatività.
Esaminando nel complesso l’opera del Rech, testimoniata ormai da un cinquantennio di esposizioni, prevalentemente in Ticino, ma anche in località del Veneto, due appaiono le tematiche ricorrenti: i paesaggi notturni, spesso rischiarati dalla luna, e le nature morte, che l’autore preferisce chiamare Stillleben («vite silenti»), perché, da buon scienziato, egli ci avverte che in natura nulla nasce e nulla muore, ma tutto si trasforma, in quel sempiterno fluire magistralmente sintetizzato dal pânta reî del filosofo greco Eraclito, posto in epigrafe al quadro Il nastro di Moebius. Rarissimo è invece il ritratto, o comunque la presenza della figura umana.
La personalità di Rech è contrassegnata dalla complessità e dalla compresenza di aspetti antinomici: la vita stessa dell’autore si svolge a cavallo della frontiera, tra Mendrisio e il «natio borgo» di Seren del Grappa (Belluno), imprescindibile ed inesauribile fonte di ispirazione; il carattere schivo e modesto nell’apprezzamento della propria opera convive con un potente impulso narcisistico, che costituisce uno dei motori della sua creatività; è il caso del quadro intitolato Il nastro di Moebius (no. 40) – nel quale «l’insetto che percorre la superficie… può credere in ogni momento che sia una faccia che non ha ancora esplorato, quella che è il rovescio della faccia che sta percorrendo» (Jacques Lacan) o del Notturno con mandibola animale (no. 20).