Una transizione difficile

Esce nelle sale «Girl» del regista belga Lukas Dhont
/ 26.11.2018
di Nicola Mazzi

Tra i film più applauditi all’ultimo Festival di Cannes (presentato nella sezione Un Certain Regard e vincitore della Caméra d’or), è arrivato anche nelle nostre sale Girl dell’esordiente belga Lukas Dhont.

Il film è un racconto lieve e potente di un adolescente che non trovandosi bene nel suo corpo inizia un doloroso e difficile percorso di trasformazione da maschio a femmina. Essere una Girl, diventare cioè una ragazza, è l’obiettivo che si pone Lara, la quale, parallelamente, segue anche un altro percorso – fatto di duri allenamenti – che la dovrebbe portare a diventare una ballerina classica.

La cinepresa è quasi sempre attaccata al corpo di Lara. La segue ovunque: negli spogliatoi insieme alle altre ragazze, mentre si allena in palestra, quando effettua le regolari visite mediche con il padre e in quel forte gesto – anche simbolico – in cui, con il nastro adesivo, si attacca le parti intime al corpo.

Anche il viso e la voce sono importanti in Girl, perché oltre al corpo la macchina da presa indugia spesso e volentieri sulla faccia androgina e i capelli biondi di Lara. Il tono di voce, in transizione anch’esso, la costringe a molti silenzi. Lara parla solo quando è davvero necessario, probabilmente infastidita anche da questa caratteristica maschile.

Il tutto è inquadrato in una serie di azioni quotidiane (la scuola, lo sport, la vita familiare) che rendono la sua una storia qualunque, non eccezionale. Certo, ci sono momenti difficili da gestire (la festa con le amiche è il più significativo), ma tutto sommato Lara è ben accettata: sia dal padre sia a scuola. Il regista non ha voluto insistere sullo sguardo degli altri, preferendo  concentrarsi sulla protagonista, sui suoi travagli interiori e sulle sue trasformazioni. E lo ha fatto molto bene, cogliendo ogni piccolo cambiamento di emozione, ogni recondito pensiero. In questo senso Dhont deve molto ai fratelli Dardenne, suoi connazionali. Ma c’è una differenza importante: i Dardenne oltre ad aver fatto dello stile naturalistico – contraddistinto dalla macchina a mano, da ambienti reali e dalla ripresa di momenti in cui non succede nulla di significativo – un vero e proprio marchio di fabbrica, si rivelano piuttosto pessimisti sulla società moderna (perché alla fine è quella che descrivono). Quando guardi un loro film ti resta l’amaro in bocca. Dhont, invece, lascia trapelare una luce più ottimista che osserviamo metaforicamente, nella scena finale, sul volto tranquillo e sereno di Lara.