Tradimenti è la poco avventurosa storia di un triangolo borghese formato da Robert, di professione editore, da sua moglie Emma, proprietaria e direttrice di una galleria d’arte, e da Jerry, agente letterario sposato con Judith (che non compare mai), nonché amante di Emma e migliore amico di Robert: tre personaggi di età compresa fra i trenta e i quarant’anni. Una storia con pochi accadimenti, raccontata a ritroso nei modi di una rarefatta conversation comedy. «A ritroso» non significa mediante un uso saltuario del flashback, ma attraverso nove scene che si succedono secondo una cronologia rigorosamente retrograda: si comincia cioè dall’incontro tra Emma e Jerry (Londra, primavera del 1977), che avviene due anni dopo la fine della loro relazione adulterina, e si risale all’inizio della stessa (Londra, inverno del 1968). L’idea di raccontare a ritroso non è un mero espediente inteso a catturare l’attenzione dello spettatore, ovviando allo scarso interesse dei fatti. Non a caso, in una nota liminare, Pinter ha scritto che la commedia può essere rappresentata senza intervallo, o con un intervallo dopo la quarta scena.
Raccontando a ritroso il progressivo allentarsi e sciogliersi del settennale legame erotico-sentimentale tra Emma e Jerry, le prime quattro scene diffondono infatti sulle altre cinque la grigia luce della fine, e in particolare su quella conclusiva, dove la dichiarazione d’amore di Jerry, stimolata dall’alcol, suona penosamente e risibilmente enfatica. Attraverso un procedimento drammaturgico inusuale, Pinter ci invita a seguire in senso inverso, con la distaccata curiosità di chi già ne conosce l’esito, la poco sorprendente vicenda di tre personaggi che appartengono all’agiata borghesia intellettuale inglese degli anni Settanta: una vicenda intessuta di frasi elusive, di reticenze, di bugie che inquinano antichi rapporti d’amicizia, di gesti e parole che appaiono spesso futili e banali, e che pure compongono una vita.
Sulla bocca dei tre personaggi ricorrono di frequente le domande: «Non ricordi?», «Ti sei dimenticato?». Come Vecchi tempi e Terra di nessuno (scritte rispettivamente nel ‘71 e nel ‘75), Tradimenti (1977) è una commedia nella quale – sia pure in modo meno accentuato e ambiguo che nelle altre due - i ricordi sono molto pinterianamente inficiati da lacune, sfocature, distorsioni, e perfino da invenzioni. Nell’ultima scena, ad esempio (quella in cui ha inizio la loro relazione adulterina), Jerry insiste nel dire, eccitato e incurante della smentita di Emma, che il giorno delle nozze lei indossava un abito bianco («Avrei dovuto prenderti col vestito bianco, prima della cerimonia. Avrei dovuto macchiarti in quel tuo vestito bianco da sposa, macchiarti nel tuo vestito da sposa, prima di accompagnarti all’altare come tuo testimone»). Tema non meno rilevante del tempo e la memoria è quello della menzogna che quasi incessantemente inquina i rapporti fra i tre personaggi. Qui tutti mentono e tradiscono (anche Robert, e forse pure Judith, la moglie di Jerry). Non c’è però intenzione di denuncia, in Pinter. Che sembra dirci: «Questo è un ambiente che conosco bene, perché ne faccio parte: così vanno le cose». (Forse è il caso di aggiungere che la commedia, secondo alcuni, ha preso spunto da una vicenda personale: il rapporto che Pinter, marito dell’attrice Vivien Marchant, ha intrattenuto per un decennio con la presentatrice televisiva Joan Bakewell).
In una nota di regia, Michele Placido sottolinea il fatto che la storia prende l’avvio nel ‘68, l’anno che «rivoluzionò il comportamento di un’intera generazione di giovani». Il testo di Pinter, secondo Placido, si può leggere come un’esemplificazione del fallimento di un’utopia rivoluzionaria che voleva «cambiare il pensiero occidentale». Che dire? Certo non può essere casuale che la storia raccontata a ritroso dal drammaturgo inglese abbia inizio proprio in quell’anno turbolento e si concluda definitivamente nel ’77, mantenendo pressoché inalterati la mentalità e i comportamenti dei rappresentanti di una certa borghesia britannica. Però non mi sembra che Pinter sia particolarmente interessato al tema indicato da Placido, il quale dà prova di intelligenza astenendosi dal forzare didascalicamente il testo e occupandosi della psicologia dei personaggi, di come parlano e si muovono: in un pub e in un ristorante londinese, nel soggiorno e nella camera da letto di Emma e Robert, in un albergo veneziano e nell’appartamento che gli amanti hanno affittato per i loro incontri clandestini: luoghi che lo scenografo Gianluca Amodio e il light designer Giuseppe Filipponio hanno saputo inventivamente fingere modificando un unico ambiente.
Forse, chi conosce la versione cinematografica di Tradimenti sceneggiata dallo stesso Pinter e diretta da David Jones troverà che la recitazione di Ambra Angiolini, Francesco Scianna (Jerry) e Francesco Biscione (Robert) non ha le finezze squisitamente british di quella di Patricia Hodge, Jeremy Irons e Ben Kingsley. A me, nel complesso, la coloritura italiana della loro interpretazione non è dispiaciuta.