La magia del monte San Giorgio è legata indissolubilmente alla sua storia geologica, alle placche continentali, al periodo del Giurassico e a quelle sedimentazioni che il mare aveva cominciato a scandire 200 milioni di anni fa, avanzando e plasmando in profondità diversi ambienti del nostro territorio. Come la breccia di Arzo e il complesso delle sue Cave: un luogo scenografico imponente da dove, per secoli, si è estratto quel marmo pregiato che è servito ad abbellire le più importanti chiese del nord Italia fra il Sei e Settecento, come il Duomo di Milano o quello di Como, ma non solo. Un’attività estrattiva iniziata verso la fine del 1300 e proseguita fino a una decina di anni or sono prima di cessare definitivamente.
A salvare le Cave dall’abbandono ci ha pensato il Patriziato che le ha acquistate nel 2011, trasformandole in un anfiteatro naturalistico dove organizzare eventi: un progetto di valorizzazione che, oltre a trasformarle in un vero e proprio santuario per geologi e biologi, le ha rilanciate sul fronte di iniziative originali, pubbliche o private, sostenute dall’impegno dell’associazione CAVAVIVA.
Il fascino di quei luoghi di lavoro, dove risuona ancora la grande fatica dei cavatori, dei piccapietra, degli scalpellini, evidentemente non ha lasciato indifferente la sensibilità artistica di Juri Cainero. Cresciuto a due passi dalle Cave – forse ha persino giocato fra quelle pietre – si è lasciato dolcemente travolgere dal fascino della ghiaia rossa, delle maestose pareti di marmi striati ancora intatte, unite all’eterno ricordo del mare così da alimentare le immagini di Cava, spettacolo da lui creato nel 2018 e riproposto con successo ad Arzo nello scorso fine settimana. Alla prima delle quattro serate previste, 250 persone hanno sfidato le incertezze meteorologiche in un percorso illuminato, attraverso un terreno irregolare fra un viale acciottolato, negli spazi della cava e lungo il sentiero che attraversa il bosco.
Pedule e pulloverino, Cava è un itinerario per immagini, ritmi, suoni, cori, evocazioni attraverso una storia secolare di cui solo la tradizione orale può tramandare dei frammenti. Cainero è abile nell’utilizzare le tecniche dell’animazione corale con un gruppo di personaggi che si mimetizzano con la pietra nel racconto del lavoro, in quella breccia che ha avuto origine dai fondali marini, da quell’antichissimo oceano di cui si percepisce la fascinosa eco evocativa fra stilizzazioni riflesse, giochi di luce e il risuonare delle onde. E non poteva mancare la buffa e straniata apparizione di Gardi Hutter in una clownesca ricerca del mare. Cava è un’impresa titanica, viste le forze messe in campo per un progetto che la terminologia odierna definisce come site specific, ovvero scritto e realizzato sul posto.Oltre a schierare e dirigere la sua compagnia Onyrikon, Juri Cainero ha firmato le musiche originali mentre Beatriz Navarro si è occupata delle coreografie e Neda Cainero degli arrangiamenti e delle voci.
In scena c’erano anche Valentin Benoit, Estelle N’tsende, Eva Poussel-Barbera, Florent Thiollet, Alexia Vidal, Florian Bessler, Anna Kiskanç, Aurora Tomasoni. La musica era eseguita dal vivo dagli stessi attori, dal coro Goccia di Voci (Oskar Boldre), dal Corpo Musicale Valceresio e Brenno Useria. Di bell’impatto la scenografia (Kaspar Ludvig, Mathieu Calvez), i costumi (Mafalda Da Camara), le luci (Chloelie Cholot-Louis, Simon Le Lagadec) e le proiezioni sulla parete dell’anfiteatro naturale (Andrea Bisconti) a conclusione di oltre due ore di uno spettacolo che meriterebbe qualche taglio.
L’allestimento ricalca un genere molto in voga in Francia e in Spagna, a cavallo fra tradizione popolare e teatro di strada, dove si sommano maschere e figure sui trampoli, l’utilizzo di bande musicali, canti, processioni e festose danze finali … uno stile efficace e debitore con un po’ di nostalgia dei Bread and Puppet.