La divina Anna Netrebko non ha convinto fino in fondo


Una ghigliottina per due

«Andrea Chénier» di Umberto Giordano inaugura la stagione lirica al Teatro alla Scala
/ 18.12.2017
di Sabrina Faller

Ah, la rivoluzione! Avvolta da romantico afflato, è tema prediletto in letteratura, sia essa sfondo di amorose vicende o luogo da cui scaturiscono personaggi fiammeggianti e smaniosi di protagonismo politico. Questo Andrea Chénier che vediamo alla Scala, nato dalla penna del compositore Umberto Giordano e del librettista Luigi Illica, rappresentato la prima volta nel 1896 proprio alla Scala, nasce da una biografia reale: André Chénier è vissuto davvero poco più di un secolo prima dell’opera che lo celebra, è stato poeta appassionato e a trentun anni se l’è portato via la ghigliottina con l’accusa di crimini contro lo Stato, lui che nel difficile momento chiamato Terrore tentava una via politica alla moderazione – la monarchia costituzionale – e aveva addirittura gioito per l’assassinio di Marat.

Rileggiamo i suoi versi in lingua originale, per esempio quelli di La Jeune Captive, poemetto scritto in prigione per una giovane aristocratica in catene: sono caldi e frementi come la rivoluzione che lo travolse. Nell’opera di Giordano la vicenda corre parallela con quella amorosa, resa più eccitante dalla presenza di un rivale in politica e in amore, Carlo Gérard, a contendere al protagonista le grazie della bella Maddalena. E a ricordarci vagamente un altro, più sanguigno terzetto che di lì a qualche anno invaderà la scena, composto da Tosca, Mario e Scarpia.

Il contrasto tra il mondo frivolo e ricchissimo di un’aristocrazia malata e quello pronto all’esplosione dei miserrimi del terzo stato dà il la alla vicenda e offre spunti interessanti alla regia. Che poi la rivoluzione si possa rappresentare tautologicamente solo mettendo in scena la rivoluzione francese è opinione del regista Mario Martone, che comunque l’ha già allestita in teatro con La morte di Danton di Büchner, mentre sul set del film Noi credevamo si muoveva in pieno Risorgimento. La ghigliottina che uccide i due amanti, com’è noto, è sempre la stessa, e ha attraversato ormai tre spettacoli. È altrettanto noto che Martone non è regista rivoluzionario, è piuttosto un rivisitatore della tradizione, magari liberata da qualche orpello – grazie all’ausilio della sempre rigorosa Margherita Palli, scenografa raffinata ed essenziale, elegante e severa, non a caso amatissima da Luca Ronconi – e restituita viva, pure con qualche splendore.

È una scelta di campo, quella del Teatro alla Scala e del suo sovrintendente Alexander Pereira: mostrare che la tradizione può anche vivere in tempi altrove registicamente estrosi e innovativi. Fastoso e scintillante, tutto specchi altissimi e ori, questo allestimento prorompe nel primo quadro, ma senza eccessi. Il gioco di riflessi affascina, gli ori rilucono, il fragore della caduta prossima è altrettanto percepibile. Poi attraverso il meccanismo girevole inventato da Margherita Palli, che permette il fluire di un’azione ininterrotta, spazio alla rivoluzione francese – stilizzata dalle linee pure della scenografa ticinese – con il suo tricolore, i ponti parigini, i berretti d’epoca. In scena si muove una coppia che fa parlare di sé: marito e moglie nella vita, lei Anna Netrebko (Maddalena) è una star della lirica, lui Yusif Eyvazov, (Andrea Chénier) un tenore azero di grandi speranze.

Critica e pubblico li attendono al varco, soprattutto attendono lui, che di bello sfoggia una curatissima dizione italiana. Il resto è cronaca: l’impegno del debuttante è ampiamente apprezzato, rare ma feroci le stroncature, mentre sui social si scatena la battaglia degli amanti della lirica tra pro e contro. Accanto allo sperduto Eyvazov la magnifica e osannata Netrebko sembra non del tutto a suo agio, la sua Maddalena non avvolge né emoziona come la meravigliosa Giovanna d’Arco di due anni fa. Il baritono Luca Salsi, di cui ben si conoscono le doti interpretative e le gesta «eroiche» (ha cantato due opere in un sol giorno al Met, sostituendo Domingo in Ernani al pomeriggio e interpretando Lord Ashton in Lucia di Lammermoor di Donizetti la sera), è una carta sicura da giocare – epperò non convince del tutto – nel ruolo di Gérard, che ha di recente interpretato con successo a Monaco, insieme alla molto coinvolgente coppia Kaufmann-Harteros.

Ci seduce dal podio Riccardo Chailly, che tiene in pugno la serata, mentre il finale si congela in un’immagine di fredda bellezza, senza lacrime. E tuttavia pubblico e critica sono – siamo – almeno per un attimo conquistati dall’evento: magia del teatro che diventa grande protagonista della scena mediatica per un giorno e per un giorno ci ricorda quanto l’arte – anche e soprattutto quando è dibattuta con passione – sia necessaria per le nostre vite. Andrea Chénier è in scena alla Scala fino al 5 gennaio.