Un giro del mondo a cavallo: in sintesi si potrebbe definire così l’originale esposizione attualmente in corso alla Pinacoteca Züst di Rancate, con reperti rari, quando non unici, della Collezione del luganese Claudio Giannelli, corredati da una ricca quadreria e testi antichi dedicati all’illustre quadrupede. Centinaia di morsi, imboccature, finimenti, staffe, speroni, accessori e decorazioni per il cavallo, amico fidato dell’uomo anche se qualche volta maltrattato, fin dalla notte dei tempi, anche se in verità l’addomesticamento del cavallo non è avvenuto contemporaneamente sotto tutti i cieli. Si sa ad esempio che gli spagnoli di Hernàn Cortés, quando sbarcarono in Messico agli inizi del ’500, fecero credere ai sudditi di Moctezuma che non avevano mai visto un cavallo, di essere creature soprannaturali, moderni centauri; il resto lo fecero gli spari dei loro fucili, il frastuono degli zoccoli al galoppo con la terra che tremava al loro apparire.
La mostra di carattere archeologico, storico e artistico insieme, inizia con una vetrinetta simbolica nella quale vengono esposti un morso contemporaneo (è quel ferro posto nella bocca del cavallo e che serve a guidarlo) e uno in bronzo del X secolo a.C. proveniente dalla Mesopotamia. A prima vista non presentano grandi differenze; per condurre un cavallo sono neccessari accorgimenti – materiali, modi e mode a parte – che sono sempre rimasti più o meno gli stessi.
Poi si entra nel vivo del percorso cronologico che parte dal Vicino Oriente con i primi rarissimi apparati formati da finimenti laterali in osso di cervo forati, indispensabili per contenere lo sfregamento della corda che passava nella bocca del cavallo; solo verso il XV secolo a.C si cominceranno ad utilizzare morsi in metallo.
Un salto temporale e geografico e si arriva nel mondo fantastico degli Sciti (VII-V secolo a.C.), popolazione nomade che abitava le steppe tra il Danubio e i Monti Altai, con una serie di collanine in oro che venivano legate alla criniera del cavallo, un frontale da parata in rame dorato con turchesi e guardie laterali in bronzo con le tipiche decorazioni zoomorfe.
Il primo dei due clou della mostra si presenta però con i morsi del Luristan, antica regione a nord-ovest della Persia, che il collezionista definisce «i più belli mai creati dall’uomo»: una cinquantina di pezzi straordinari, raffinate sculture con personaggi fantastici che ci riportano all’epopea di Gilgamesh, da ammirare con grande attenzione per i dettagli artistici. Non mancano in mostra reperti dal mondo greco, come l’antico morso in bronzo del quale esiste solo un altro esemplare nel Museo di Micene. E curiosi reperti etruschi e romani: per esempio gli «ipposandali» che altro non sono se non i primi ferri per gli zoccoli dell’animale, o i «triboli», punte acuminate che venivano sparse al suolo come mine ante litteram per ferire pedoni e cavalli (da cui il verbo tribolare). Passando per il nostro Medioevo (Dinastie dei Carolingi, dei Merovingi ma anche i Vichinghi) si arriva al secondo clou della mostra: il Rinascimento europeo, con creazioni artistiche che trascendono la funzione primaria e per fare del cavallo un simbolo della ricchezza e del buon gusto del suo proprietario. Oggetti preziosi cesellati da artisti che operavano nelle varie corti di Francia, Italia, Spagna o Germania, dei quali sono rimasti pochi esemplari poiché il succedersi delle mode e i costi elevati portavano spesso alla loro fusione allo scopo di recuperare la materia prima.
A Rancate viene esposto tra l’altro un reperto che Giannelli chiama «la mamma di tutti i morsi», acquistato come tutti gli altri in aste pubbliche, del quale esiste solo un secondo esemplare, creato dallo stessa mano, a Parigi, donato al Re di Francia Enrico II nel 1550. La corsa finisce con una sezione dedicata a varie curiosità che confrontano il visitatore con paesi e culture lontane: Tibet, Giappone, Cina, Russia (con le staffe che rovesciate servivano ai cosacchi del Don da bicchiere per la vodka; da cui l’espressione «bere il bicchiere della staffa») e infine Messico, Argentina e Cile per completare il giro del globo. Reperti che dunque raccontano pagine di storia di popoli che lungo i millenni hanno intrattenuto stretti rapporti con il cavallo. Non dimentichiamo però: non solo per fare la guerra o come status sociale, ma più prosaicamente anche nella vita di tutti i giorni nel lavoro dei campi, nei trasporti, nel tempo libero, per fare sport o solo considerando il cavallo un compagno di strada (ma questo punto di vista ci porterebbe a parlare di un altro tipo di mostra).
Sembra sia stato Churchill a dire: «Ammirare la bellezza di un cavallo non può che giovare all’umore dell’uomo».