Un testo davvero contemporaneo?

Una «cozza» di farsa al LAC, in attesa della Nuova Drammaturgia
/ 25.02.2019
di Giorgio Thoeni

La stagione di LuganoInScena avanza a grandi falcate promettendo spettacoli di grande levatura. Una fase della sua programmazione che prevede anche un pacchetto di proposte inserite nell’ambito del Focus Nuovi Orizzonti con l’obiettivo di avvicinare il pubblico al teatro contemporaneo, alla Nuova Drammaturgia o, più semplicemente, al nuovo.

In questo senso si inserisce perfettamente l’attesissimo ritorno di Romeo Castellucci con Democracy in America, spettacolo del quale ci occuperemo la prossima settimana. Ma anche l’arrivo in aprile del belga Ian Fabre con The Night Writer. Non è però il caso di Belve – Una farsa di Armando Pirozzi scelta per aprire il breve ciclo e preceduto, il giorno stesso del debutto sul palco del LAC, da un’appassionante conferenza di Carmelo Rifici sulla nascita e sul senso della Nuova Drammaturgia.

Un appuntamento di pregio e ben argomentato che ha creato molte aspettative su quanto si sarebbe poi visto sul palco e che ha prodotto uno strano effetto boomerang proprio in relazione a uno spettacolo che aveva tutte le carte per essere in regola (dall’autore più volte segnalato e premiato alla blasonata regia di Massimiliano Civica con le garanzie di un ente produttore come il Teatro Metastasio di Prato) ma che in scena si è rivelato, almeno per noi, ben poca cosa. D’altronde est modus in rebus, come commenterebbero i latini.

Se Belve anagraficamente è un testo contemporaneo, cioè fresco di scrittura, è però distante dai presupposti del nuovo, da quei paradigmi di rottura e di stravolgimento che contraddistinguono un certo tipo di teatro d’avanguardia. Ciò è più evidente in spettacoli dove il testo è praticamente assente ma può manifestarsi anche in copioni dal taglio tradizionale. Pensiamo solo a Beckett, Ionesco o a un tale di nome Achille Campanile come per un primissimo Totò nel film Animali pazzi (1939), nelle sue Tragedie in due battute (1925) ma anche per Che cosa è questo amore (1927) in cui prevale sempre (e per tutti) il gusto per un funambolico gioco di battute, di dialoghi surreali, di spiazzamenti di senso. Belve in parte si nutre di tutto ciò come di vaudeville senza sconfessarne i maestri, ma alludendo in filigrana a una tradizione che arriva da lontano. E che non ha nulla a che spartire con la Nuova Drammaturgia.

Lo spettacolo di Civica inizia con un tavolo imbandito per quattro al centro della scena. Una cena a base di cozze che sfocia nel delirio di personaggi caricaturali e grotteschi attorno a due coppie diverse fra loro ma in un certo senso simili, poi addirittura imparentate.

L’allegoria del potere e del danaro muove la farsa lungo un percorso alla ricerca della risata con un macchiettismo spesso forzato, dove un mancato avvelenamento genera un simil-zombie in odor di vendetta e un progetto di arricchimento facile fa sognare con tanto di fuga in Brasile… insomma ingredienti per un minestrone. Ma la zuppa risulta insipida e stantìa… e la cena una cozza. Nonostante gli attori: Alberto Astorri, Salvatore Caruso, Alessandra De Santis, Monica Demuru, Vincenzo Nemolato, Aldo Ottobrino.«Lasciati andare al nuovo!», esorterebbe Carmelo. Senza dubbio, siamo fra i primi. Ma evitiamo accostamenti fuorvianti.