Un teatro che scuote l’animo

Il grande drammaturgo bernese Milo Rau colpisce il pubblico con una pièce geniale e brutale, mentre finalmente il Teatro Tricskter_P di Galbiati e Luginbühl debutta al Teatro Studio del LAC
/ 23.04.2018
di Giorgio Thoeni

L’emulazione è parte del processo della nostra crescita ma le aree protette per l’esercizio sono pochissime. Una fra queste è la fantastica isola dell’infanzia: i bambini amano travestirsi, giocare a fare finta di essere qualcuno di diverso. Mai però avremmo pensato che una pagina fra le più mostruose della storia di una criminalità malata sarebbe stata raccontata proprio da loro, dagli innocenti. Milo Rau c’è riuscito adottando un processo lungo e meticoloso per realizzare Five Easy Pieces che LuganoInScena ha proposto sul palco del LAC, dove sono i bambini a rileggere la vicenda di Marc Dutroux, il mostro di Marcinelle: uno spettacolo che ha vinto, fra gli altri, il Premio Ubu 2017 come miglior spettacolo straniero.

Il teatro di Milo Rau è un’esplorazione dei limiti della scena, di come e quanto si possa osare con il meccanismo della rappresentazione. Con questo capolavoro il regista bernese, grazie al suo inconfondibile puntiglio di stampo giornalistico, alla profondità di analisi, al rigore e alla sensibilità con cui affronta un tema così scabroso, si supera toccando le vette del sublime. D’altronde, come ha dichiarato lo stesso Rau, Five Easy Pieces ha un ruolo chiave nel suo percorso creativo per capire come oggi si possa rappresentare il processo della catarsi teatrale. Con Five Easy Pieces sono le vittime a calarsi in un gioco teatrale per raccontare la vicenda del pedofilo belga, un vero e proprio mostro dai disegni machiavellici, condannato nel 2004 alla reclusione perpetua per aver commesso una serie impressionante di delitti e, soprattutto, per aver sequestrato, violentato e ucciso delle bambine. Quei fatti, avvenuti sul finire degli anni 90, sono rimasti impressi nella collettività del mondo intero. Nel ripercorrere quella triste storia Rau affronta in filigrana anche il tema della violenza che gli adulti esercitano sull’infanzia. «Lavorare con i bambini», ha dichiarato il regista e drammaturgo svizzero in un’intervista, «è stato molto difficile in quanto fanno fatica a concentrarsi, non sanno veramente cosa sia recitare né che tipo di relazione instaurare con il pubblico. Ci sono voluti mesi di prove molto lunghe nei fine settimana per riuscire a creare un metodo che fosse efficace (...) Five Easy Pieces è anche un lavoro che pone molte questioni sulla regia e le sue modalità». Un risultato che trascina grazie ai sei giovanissimi attori (fra i 9 e 1 14 anni): veri, delicati, straordinariamente ironici e... catartici. Anche grazie al coaching di Peter Seynaeve, assistente alla regia e in scena con i piccoli protagonisti nel geniale percorso narrativo in cinque tappe di una sconvolgente tragedia.

 

Nettles: stanze della memoria e luoghi dei sogni
La dimensione culturale della compagnia Trickster_P sta conquistando ulteriore maturità rinnovando la formula del suo successo. Il debutto nel Teatrostudio del LAC di Nettles («ortiche») consolida il meritato interesse che la compagnia ticinese di Cristina Galbiati e Ilija Luginbühl ha saputo ritagliarsi in questi anni e anche questa volta con un progetto sempre più orientato al ruolo protagonista dello spettatore-attore impegnato in un percorso visivo e sensoriale, dove la dimensione dell’ascolto guidato attraverso oggetti e percezioni assume un’importanza centrale. Nettles, coprodotto da LuganoInScena (dramaturg Simona Gonella) è un percorso individuale attraverso delle stanze: spazi in cui si trovano sistemate, in una veste essenziale, minimalista, tracce di vissuto, segni del passato, elementi concreti di una memoria che può sconfinare nell’inconscio e arredare i sogni facendo rivivere i sentimenti più intimi: una poetica elaborata, che evoca la presenza umana senza creare ridondanze.

La voce di Cristina Galbiati accompagna in cuffia le installazioni con un testo esemplare per semplicità ed efficacia narrativa. Poche frasi, dal lessico scarno e incisivo, in una traduzione sonora dove un dreamteam ideale – gli spazi sonori sono affidati a Zeno Gabaglio, la sensibilità tecnica a Lara Persia e la consulenza informatica a Roberto Mucchiut – ci immerge in una dimensione parateatrale, un immaginifico radiofonico dove prevalgono le suggestioni dei sensi, le parole e il fascino di dolci sorprese programmate. Passo dopo passo si susseguono ricordi autobiografici, la figura del padre, storie, situazioni e rievocazioni di episodi come anfitrioni di un universo onirico attraversato dalla luce della realtà e da un positivo senso di morte che accompagna lo stupore e l’inquietudine dell’infanzia, la fragilità dell’essere umano.