Al forestiero che giunge a Venezia alla stazione di Santa Lucia le indicazioni fornite per giungere al Palazzetto Bru Zane – Centro della Musica Romantica francese – sembrano misteriose: passare il Ponte degli Scalzi, percorrere la Calle Lunga delle Chioverette, girare a sinistra in Calle Bergami, a destra per le Fondamenta Rio Marin. Secondo ponte a destra, svolta a sinistra, fino al Campiello del Forner. Al civico 2368, nel cuore del Sestiere di San Polo, non lontano dalla Basilica dei Frari, ecco il Palazzetto edificato come biblioteca dal nobile Marino Zane a fianco del palazzo di famiglia.
Ma cosa ci fa da un Centro di musica romantica francese, a Venezia? Come ha potuto trovare spazio e pubblico in una capitale artistica dove la secolare fondazione lirico-sinfonica (la risorta Fenice) e le attività storicamente radicate della Biennale Musica si intrecciano incontrastate da decenni? Domande sorte spontaneamente quando dieci anni or sono cominciò l’attività del Palazzetto. Dopo l’acquisto da parte della mecenate francese Nicole Bru, un grande lavoro di restauro ha restituito all’antico splendore il nitore degli stucchi, la meravigliosa balaustra della sala da ballo e gli affreschi attributi nientemeno che a Sebastiano Ricci.
Fino a qui la storia del Palazzetto sarebbe stata simile a quella di tanti altri restauri privati. Ma la volontà della proprietà era quella di fondare qualcosa di vivo, che si relazionasse con la città e con la cintura della terraferma, non rimanendo una enclave di cultura francese nel cuore della Serenissima e basta. Così in questi dieci anni il Centro ha proposto, ospitato e diffuso produzioni musicali – poi circuitanti in Europa, soprattutto in Francia, ma anche in Svizzera, Belgio e Germania – di musicisti celebri, meno noti o dimenticati, in un’accezione temporale dell’età «romantica» che abbraccia il periodo 1780-1920.
Il lavoro compiuto in questi anni sotto la guida del Direttore scientifico Alexander Dratwicki ha ampliato, e qualche volta sovvertito l’immagine di compositori celebri, come nel caso del caposcuola Camille Saint-Saëns. Sotto l’egida del Palazzetto, una ricca monografia di Giuseppe Clericetti, due preziose raccolte epistolari e l’incisione di due opere sconosciute (Les Barbares e Proserpine) ci hanno fatto capire come la grande figura dell’enciclopedico umanista musicale fosse ingombrante quando esplodeva il modernismo dei Balletti Russi. Un altro merito dell’attività del Palazzetto Bru Zane è quella di seguire il teatro più «leggero», quel teatro satirico francese che Jacques Offenbach & Soci traevano dalle scene di «Vita parigina» a loro contemporanee. L’anno scorso uno di quei soci o rivali di Offenbach è tornato alla ribalta, Louis-Auguste-Florimond Ronger detto Hervé, compositore che sognava di scrivere per i grandi teatri di Parigi e venne trattato come il «compositore suonato» (dal titolo di una sua pièce). Scriveva da sé testi e musica; interpretava i ruoli principali; era regista e amministratore. Correva in Prefettura e al Ministero, «senza contare le genuflessioni a ventre piatto davanti alla Censura». Il Palazzetto Bru Zane riesumando la sua Mam’zelle Nitouche (il relativo film con Fernandel fu tradotto in italiano come Santarellina), ci ha fatto conoscere un’operetta-vaudeville spassosa, dove nessuno è quello che sembra, a partire da Célestin, devoto organista del convento di giorno e musicista d’avanspettacolo la sera (il giovane Hervé passava infatti dall’organo di Saint-Eustache ai bordelli musicali delle folies).
Nelle riscoperte non mancano gli operisti italiani protagonisti in Francia, da Sacchini con Renaud a Gasparo Spontini, autore finito per essere ricordato quasi solo tramite la venerazione che ne aveva Hector Berlioz (e la Vestale di Maria Callas). Il ruolo chiave di Spontini nell’Impero attende ancora il riconoscimento internazionale che gli spetta, avviato con la prima (e speriamo non ultima) sortita spontiniana nella collana «Opéra français», Olympie.
L’equipe artistico-organizzativa del Palazzetto si è guadagnata in due lustri uno spazio unico per vitalità e qualità delle proposte, mostrando come un mecenatismo illuminato sia tanto necessario quanto quello proveniente dallo Stato con le sue intermittenze politiche. Il patronaggio musicale di Madame Bru ci sembra vieppiù raccogliere il testimone novecentesco che fu della leggendaria Madame Winnaretta Singer, poi princesse de Polignac.