Robert Victor Félix Delaunay (Parigi, 1885 – Montpellier 1941) è un artista molto noto in Francia; assieme alla moglie Sonia Delaunay Terk. Probabilmente un po’ meno alle nostre latitudini. Per chi non lo conoscesse ancora è il momento di farlo. Guillaume Apollinaire ha definito la sua pittura come «cubismo orfico», anche se il termine cubista non è propriamente esatto. Quando impiegava il metodo della scomposizione delle forme, infatti, lavorava con colori quasi indipendenti da queste in un’armonia musicale dai risultati morbidi e circolari.
Due sono gli aspetti che è necessario conoscere per addentrarsi nel suo lavoro: l’Orfismo e il contrasto simultaneo. L’Orfismo nasce in contrapposizione al rigorismo cubista di Georges Braque e Pablo Picasso con un carattere libero, giocoso e lirico. Apollinaire così scrive: «è l’arte di dipingere composizioni con elementi attinti non dalla realtà visiva, ma interamente creati dall’artista, e da lui dotati di una possente realtà». Il contrasto simultaneo è un fenomeno scoperto nel 1840 dal chimico francese Michel-Eugène Chevreul, direttore del laboratorio delle arazzerie Gobelins di Parigi.
Senza entrare nei dettagli della questione – per altro un po’ complessa e non certamente attraente e per la quale rimando al prezioso volume di Luigina De Grandis Teoria e uso del colore – basti sapere che il contrasto simultaneo si basa sul principio della complementarietà. In pratica nelle zone immediatamente adiacenti a una campitura di rosso appare non il colore dipinto, mettiamo il giallo, ma quello complementare al rosso, cioè il verde. In più se una determinata area è di colore chiaro quella accanto sarà più scura del colore dato e viceversa.
Chevreul nel suo libro scientifico di 756 pagine del 1839 De la loi du contraste simultané des couleurs spiega così: «Se si guardano contemporaneamente due aree di chiarezza diversa ma dello stesso colore, o della stessa chiarezza ma di colore diverso, in giustapposizione, cioè l’una confinante con l’altra, l’occhio osserva (purché le aree non siano troppo grandi) delle modificazioni che nel primo caso influenzano l’intensità del colore e nel secondo la composizione ottica dei due colori giustapposti». All’inizio del Novecento molti artisti fanno proprie queste scoperte come, per esempio, Gaetano Previati nel suo scritto Principi scientifici del divisionismo del 1906.
Robert Delaunay studia Chevreul e nel 1923, assieme a Sonia, fonda a Parigi l’Atelier Simultané.
Nel 1976 all’Orangerie di Parigi si è tenuta una grande retrospettiva dedicata all’artista e in seguito nel 1999 il Centre Georges Pompidou, sempre a Parigi, ha proposto il suo lavoro svolto fra il 1906 e il 1914. Periodo centrale, questo, dei suoi soggetti prediletti che si rifanno a un mondo in trasformazione (l’aeronautica, le grandi strade…). In quell’occasione i commissari scientifici dell’esposizione Jean-Paul Ameline e Pascal Rousseau scrivono che dopo i trattati di Chevreul e Rood «si torna verso l’animazione puramente cromatica dei dipinti: le vibrazioni dei colori mettono l’occhio dello spettatore in presa diretta con l’agitazione della realtà».
Attualmente, e fino al 18 novembre, il Kunsthaus di Zurigo dedica un’esposizione a Robert Delaunay comprendente un’ottantina di quadri che coprono tutto il suo percorso artistico, dai primi ritratti divisionisti del 1906-1907 ai progetti per il Palais des Chemins de Fer e il Palais de l’Air in occasione de l’Exposition Internationale di Parigi del 1937 fino all’ultimo ciclo pittorico Rythmes sans fin.
Ampio spazio viene dedicato alla rappresentazione della Tour Eiffel. Costruita nel 1889 per l’Exposition Universelle di Parigi, la torre, nonostante le critiche di buona parte della «cultura» cittadina che ne chiedeva l’abbattimento, è un simbolo della tecnica e del modernismo. Per Delaunay diventa quasi un’ossessione e la ritrae, complici le fotografie dell’epoca, dal basso, dall’alto, di fianco. Sempre con colori accesi e mediante forme destrutturate. Grandiosa la tela del 1922 nella quale appaiono visti dall’alto i giardini di Champs de Mars con i loro ghirigori. Accanto le foto realizzate da Man-Ray, André Kertész, El Lissitzky e altri; splendide quelle di Germaine Krull raccolte in Métal del 1928.
Seguono i dipinti dei tetti parigini e la serie degli interni della chiesa di Saint-Séverin con le sue arcate gotiche altissime e scintillanti. Poi i ritratti degli amici fra i quali troviamo Tristan Tzara, Louis Aragon e l’incantevole e ironica Maria Lani. Tre in ogni caso i dipinti emblematici: Disque (Le premier disque) del 1913, rigorosamente aniconico, che indaga la struttura cromatica del colore e i due oli del 1924-25 Les coureurs, nei quali la differente luminosità dei colori degli atleti in gara trova forma, movimento e tridimensionalità senza l’ausilio di alcuna sfumatura.
In conclusione del suo altalenante percorso, fra figurativismo e astrazione, Delaunay ritorna all’astrazione geometrica con i suoi cerchi cromatici puliti e luminosi per terminare con la monumentale opera realizzata con Sonia per le Palais de l’Air de l’Exposition Internationale di Parigi del 1937 fatta di anelli e cerchi colorati della quale a Zurigo si può vedere uno schizzo preparatorio.
Una mostra precisa, con scritti, fotografie, film come il godibilissimo estratto da Le P’tit Parigot di René Le Somptier del 1926: otto minuti di vera «essenza parigina» con musica, balli, dipinti e costumi dei due Delaunay. Ottimo l’allestimento come le luci. Esauriente il catalogo.
Da notare che di fronte al Kunsthaus ora si possono vedere i muri del nuovo edificio progettato da David Chipperfield Architects che nei mesi scorsi ha raggiunto la propria altezza effettiva. Una struttura quadrangolare che sarà l’ampliamento e il completamento del Kunsthaus stesso. Il più grande museo della Svizzera del XXI secolo, a tre anni dall’avvio del cantiere, termina così la sua struttura portante. Il completamento è previsto «puntualmente» entro il 2020.