Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867) ritiene che il disegno sia la tecnica ideale e primaria della pittura. Per questo ama Raffaello con i suoi dipinti puliti e lineari. Vive durante un periodo turbolento anche esteticamente. A lui si contrappone l’impetuosità coloristica di Eugène Delacroix il quale, all’epoca, è considerato il nuovo e la rivoluzione. Non a caso Charles Baudelaire, recensendo la retrospettiva dell’artista all’interno de l’Exposition Universelle del 1855, considera Ingres un uomo dotato di alte qualità ma «sprovvisto di quel temperamento energico in cui consiste la fatalità del genio».
Ingres, per lui, è influenzato dall’antichità ma con dei bei modi che sono capricci transitori e non dignità dell’individuo. Nel dipinto l’Apoteosi dell’Imperatore Napoleone I, sostiene Baudelaire, invece della rappresentazione di un’apoteosi con la sua «potenza di ascensione verso le regioni superiori» cade con una «velocità proporzionata alla sua pesantezza». Questo e altri giudizi negativi lo accompagnano per tutta la vita anche se, proprio per il suo accademismo, nel 1801 vince il Prix de Rome. Nel 1806 si trasferisce a Roma prima e a Firenze poi e rimane in Italia per 18 anni. In polemica con le «correnti ufficiali» ritorna a Roma nel 1835 per rimanervi fino al 1841 come direttore dell’Accademia di Francia a Villa Medici.Dipinge soprattutto ritratti, ma anche odalische, nudi e quadri a soggetto storico e letterario.
In lui si intrecciano eros e thanatos, Apollo e Dioniso, in una sintesi fra luce e tenebra, materia e spirito. Marc Fumaroli parla di «identità paradossale» perché l’artista, e con lui il Neoclassicismo, guarda al passato mentre si fa la rivoluzione con Napoleone. Una sorta di «pittore cinese sperduto, in pieno diciannovesimo secolo, nelle rovine di Atene», come scrive nel 1855 Théophile Silvestre nell’Histoire des artistes vivants. La sua vita si intreccia con quella di Napoleone I. Nel 1811 – alcuni anni prima della capitolazione – quasi tutta l’Europa subisce la sua influenza. Dopo la conquista dello Stato Pontificio e dell’Olanda, l’Impero napoleonico è composto da 130 dipartimenti dislocati praticamente in quasi tutta l’Europa.
Napoleone I governa personalmente alcuni Stati e negli altri pone sul trono i suoi parenti: i Napoleonidi. Gli artisti sono subito chiamati a raccontare le gesta del generale, prima, e dell’Imperatore, dopo. Inizialmente raffigurando una certa realtà storica che legittima l’Impero e poi – quando Napoleone I diviene oggetto di culto e vengono fissati i paradigmi delle opere – in una specifica ritualità (dall’adlocutio, all’arringa ai soldati, al gesto di clemenza) attraverso una sempre più dilagante enfasi celebrativa e mitografica, come scrive Eleonora Bairati. Da Jacques-Louis David ad Andrea Appiani, da Antoine-Jean Gros a Charles Meynier.Attualmente a Palazzo Reale di Milano è in corso un’esposizione che mette in rilievo l’opera di alcuni artisti, fra i quali Ingres, in rapporto con Napoleone I. La mostra è curata da Florence Viguier-Dutheil, direttrice del Museo Ingres di Montauban, suo luogo di nascita. Museo dal quale provengono la maggior parte delle opere dell’artista francese e che è in ristrutturazione sino alla fine del 2019.
Milano è il fulcro italiano di questo rinnovamento delle arti dopo che proprio qui, il 12 giugno del 1805, Napoleone I si fa incoronare Imperatore e poi Re d’Italia. Fra gli artisti di riferimento troviamo Jacques-Louis David, Antonio Canova e, appunto, Ingres. Centocinquanta sono le opere in mostra, fra le quali una sessantina di Ingres, fra disegni e dipinti.Attenzione, non si tratta di un’esposizione esclusivamente incentrata su Ingres – del quale troviamo prevalentemente lavori minori – ma riguarda il suo periodo.
Si parte con alcune opere del Neoclassicismo quali i nudi virili, qualche bagnante e l’aereo Ritratto della principessa Karoline von Liechtenstein di Élisabeth-Louise Vigée-Le Brun, la ritrattista ufficiale della regina Maria Antonietta. Segue il versante oscuro del periodo che rende inquietante il «culto di emozioni delicate», come nei romanzi inglesi fra malinconie, sogni e drammi. Qui troviamo l’enorme Sogno di Ossian del 1813 di Ingres. Spettrale fantasmagoria tratta dalla saga gaelica inventata dal poeta James Macpherson fra il 1760 e il 1763 e dedicata al poeta Ossian. Un omaggio ai gusti letterari di Napoleone e destinato a decorare il soffitto della sua camera da letto. Ossian seduto in primo piano sogna i figli e gli eroi morti in battaglia, in un grigio crepuscolare e sinistro.
Una sezione della mostra è dedicata alle campagne d’Italia di Bonaparte. Il giorno successivo l’incoronazione di Napoleone a Milano il generale Hyacinthe-François-Joseph Despinoy ordina al più famoso pittore della città, Andrea Appiani, il ritratto del condottiero. Dall’arrivo di Napoleone nel 1796 Appiani subisce il suo fascino, tanto da diventare nel 1805 suo premier peintre. Dal 1800 comincia una serie di trentacinque pannelli su tela a monocromo per illustrare la campagna d’Italia iniziata con la battaglia di Montenotte il 12 aprile 1796 e finita con la vittoria di Friedland del 14 giugno 1807.
Le tele, terminate nel 1807, vengono posizionate nella sala delle Cariatidi a Palazzo Reale. Tutte sono andate distrutte durante i bombardamenti dell’ultima guerra mondiale. Per fortuna Napoleone ne aveva ordinato una loro riproduzione calcografica. La esegue Giuseppe Longhi, professore di incisione a Brera, assieme ai suoi allievi, Francesco e Giuseppe Rosaspina, Michele Bisi e Giuseppe Benaglia, tra il 1807 e il 1816. 35 acquaforti ritoccate al bulino esposte assieme ai busti di Napoleone in marmo di Gaetano Matteo Monti da Ravenna, Antonio Canova, Luigi Manfredini. La sala centrale dell’esposizione è dedicata al ritratto di Napoleone I sul trono imperiale eseguito da Ingres nel 1806, e proveniente dal Musée de l’Armée di Parigi, contornato dai disegni preparatori. Opera che suscita terrore e ilarità.
Criticata per la non somiglianza, la mancanza di chiaroscuro, la rigidità della posa e il biancore freddo della luce. Napoleone è seduto sul trono come il Dio raffigurato da Jan van Eyck nel polittico di Gand, con lo scettro imperiale nella mano destra e le insegne reali conservate a Saint-Denis: la spada, la mano della giustizia in avorio, lo scettro dei Re di Francia appartenuto a Carlo Magno.
Dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo nel 1815 e il conseguente crollo dell’Impero, Ingres vede calare le sue commissioni. Si dedica al genere troubadour o storico dipingendo opere dedicate a Raffaello, Paolo e Francesca e Leonardo da Vinci rappresentato sul letto di morte tra le braccia di re Francesco I.