Aldo Pagani si è regalato questa mostra per i suoi 80 anni, un’antologica in cui ha selezionato e raccolto le opere di 50 anni di lavoro. Pagani vive a Morbio ed è nato e cresciuto vicino alla sontuosa Villa vescovile di Balerna. L’importanza della pieve balernitana nei secoli è testimoniata dai magnifici stucchi che decorano la Sala della Nunziatura, proprio sopra la Sala del Torchio dove si tiene la mostra. Tra Morbio e Balerna, troviamo il parco delle Gole della Breggia, un importante sito naturalistico e geologico, inscritto nell’Inventario dei siti e dei monumenti di importanza federale. Cresciuto accanto a queste gole, Aldo Pagani racconta di quando bambino si tuffava felice nel torrente. Forse, pensiamo, non ha mai smesso di farlo. Le opere in mostra, 50 oli e alcuni disegni, tranne qualche raro lavoro che ha per oggetto la Sardegna o le Cave di Arzo, hanno origine dall’appassionata immersione nel luogo dove è nato.
Molte persone abbandonano per sempre il loro luogo di nascita senza rimpianto, ma nel suo caso sarebbe impossibile: la sua è la relazione di un’innamorato. Le immagini esposte sono tutte diverse, ma il soggetto, colto in infinite angolazioni visive, in momenti sempre diversi è sempre uno. In un lungo percorso espressivo Pagani restituisce immagini elaborate in decenni. Vi senti un muto costante colloquio con la natura: sono pareti, rocce, anfratti, gole, sempre gli stessi, ogni volta diversi. Il pittore imposta con sicurezza composizione e impianto spaziale, i colori mutano gioiosamente, possono essere molto caldi o molto freddi, inseguono con ostinazione la luminosità, avverti che rocce, fiume, gole, sassi, anfratti contengono segrete proiezione di emozioni, diventano angoli interiori. Non avrebbe molto senso etichettare questi lavori da un punto di vista stilistico, fra concretezza e interpretazione, ma guardandoli non si può non ricordare l’Astrattismo, che rinuncia alla raffigurazione dell’oggetto creando un’altra dimensione, o il Cubismo che ai primi del 900 alla rappresentazione imitativa del reale contrapponeva volumi geometrici autonomi e puri.
Pagani deve avere umilmente guardato a quei maestri, essersi nutrito del loro insegnamento, ma è sempre rimasto fedele a una sua spontanea guida interiore. In un modo dell’arte dove tutti gridano e cercano visibilità, di carattere schivo e riservato, meditativo e riflessivo, il pittore ha lavorato quotidianamente, con costanza e metodo. Le opere hanno formati diversi, medie o grandi dimensioni, ma ritiene di avere raggiunto il massimo solo con le piccole tavolette di legno in esposizione, di 20-30 cm, dalla struttura complessa e dall’intensa colorazione: appassionato cultore della musica classica, le ha chiamate «Péchés de vieillesse», ispirandosi a Rossini, che con questo nome compose dei brani assolutamente poco noti e bellissimi.
Vi è un aspetto a cui ci rende attenti Dalmazio Ambrosioni. Il pittore Pagani è stato un vero anticipatore culturale. Oggi non pochi artisti esprimono la necessità di approfondire il rapporto con il luogo a cui appartengono. Nei primi anni 70, quando Pagani iniziava la sua carriera erano in pochi a mettere al centro della loro poetica in modo così ricorrente e determinato l’amore per la terra in cui erano nati.