Scritto due anni dopo la morte di Paul (nipote del celebre Ludwig, l’autore del Tractatus logico-philosophicus), Il nipote di Wittgenstein è un tributo alla memoria di un amico verso cui Thomas Bernhard si sentiva profondamente in colpa. «Duecento amici verranno al mio funerale e tu dovrai tenere un discorso sulla mia tomba». Così gli aveva detto Paul. «Ma al suo funerale non vennero più di otto o nove persone […] e io stesso in quel momento mi trovavo a Creta».
L’essere venuto meno, sia pure involontariamente, al desiderio dell’amico (morto in un ospedale di Linz, e non nel manicomio am Steinhof, dove era stato ricoverato più volte, tanto che lui stesso lo definiva «la mia vera casa») non è la sola ragione per cui Bernhard si sentiva in colpa. «Durante gli ultimi mesi della sua vita ho consapevolmente evitato il mio amico per ubbidire a un basso istinto di autoconservazione, e questo non me lo perdono». Il nipote di Wittgenstein vuole dunque essere un atto riparatore che non cede alla tentazione del discorso puramente elogiativo.
Scritto in prima persona, il libro è stato adattato in forma di monologo dal regista francese Patrick Guinand, che nel 1992 lo ha messo inscena con Umberto Orsini nei panni del narratore. Lo spettacolo fu così apprezzato dal pubblico e dalla critica che Orsini lo ha ripreso più volte, sino a farne un cavallo di battaglia, o come lui stesso ha detto, una sorta di «gioiello di famiglia», che ha voluto sfoggiare anche nella stagione teatrale 2019-2020.
Per Patrick Guinand, Il nipote di Wittgenstein è un concentrato dei temi principali di Thomas Bernhard (che sono, aggiungo io, la malattia, la morte, la solitudine, i limiti del linguaggio, l’arte, l’insensatezza del vivere e la follia). Ed è anche il suo testo più semplice e più intimo, quello cioè in cui lo scrittore austriaco ha affrontato nel modo più diretto la realtà dei sentimenti attraverso la storia della sua amicizia con Paul Wittgenstein, al quale si sentiva legato da molte predilezioni – per la musica innanzitutto – e da molte avversioni (un’affinità, la loro, che non escludeva i contrasti. Nel suo procedere, il racconto disegna due ritratti: quello del pazzo Paul Wittgenstein, che per intervalla insaniae era un uomo di grande intelligenza e sensibilità, e quello del diversamente pazzo e malato Thomas Bern-hard, che ha saputo dominare la sua pazzia attraverso la scrittura).
Nell’adattare il libro per la scena, Guinand ha scelto i momenti (27 per l’esattezza) che gli sembravano fondamentali (vale a dire i più intimi), operando piccoli tagli al loro interno e mantenendo inalterata la progressione del racconto. L’amicizia con Paul – scrive Guinand nella nota di regia del ’92 – ha consentito allo scrittore di raddoppiare la propria «irritazione», di osservare e giudicare i viennesi, l’Austria e il mondo con potenziata «intransigenza», quell’intransigenza da cui erano posseduti entrambi quando sedevano sulla terrazza del Sacher («qualsiasi cosa o persona ci capitasse davanti agli occhi, noi l’accusavamo»).
Bernhard rievoca la figura del-l’amico – una delle pochissime persone importanti della sua vita – trapassando dalla commozione rattenuta all’osservazione distaccata di certi suoi comportamenti, dalla lucida riflessione all’invettiva: contro gli psichiatri, i premi letterari («accettare un premio altro non significa che lasciarsi cagare in testa perché in cambio si è ottenuta una certa somma di denaro»), la campagna, gli attori del Burgtheater, i viennesi, l’Austria intera («questo paese così arretrato, tronfio, grossolano, e nello stesso tempo afflitto da disgustosa megalomania»).
Nella messinscena di Guinand, l’avvincente monologo (che contiene anche alcuni passaggi comici) viene pronunciato in una stanza semicircolare imbiancata a calce e sobriamente arredata con un mobile addossato a una parete (nel quale sono contenuti un violino e un giradischi), un divano, una poltrona e una lampada a stelo quasi identici a quelli che si trovano tuttora nella casa-museo dello scrittore a Ohlsdorf, in Alta Austria.
L’ottantacinquenne Umberto Orsini dipana la peculiare complessità dello stile di Bernhard con variazioni ritmiche, timbriche e tonali che fanno pensare a una partitura musicale in cui i silenzi non sono meno significativi e vibranti delle parole, mentre i gesti, misurati e precisi, intessono un contrappunto rigoroso e incisivo, a volte in risposta ai gesti e agli sguardi della donna (un’invenzione di Guinand, modellata sulla figura femminile presente nel dramma Il riformatore del mondo, e interpretata da Elisabetta Piccolomini) che si muove nella stanza in qualità di domestica e governante devota e silenziosa, lucidando il pavimento, servendo il caffè, aiutando l’artista a cambiare abbigliamento (prima una vestaglia, poi un frac, poi un abito da campagna), o mettendo sul giradischi la Sinfonia renana diretta da Schuricht.