Un giovane Prometeo un po’ acerbo

Tommaso Giacopini e Kevin Blaser nel nuovo Fluctus Teatro
/ 03.06.2019
di Giorgio Thoeni

I numeri per attirare la nostra attenzione c’erano tutti. A cominciare dal debutto di una nuova compagnia, il Fluctus Teatro, con una produzione originale, L’incatenato. Per rimpolpare la novità, si aggiunge la presenza di due giovani attori ticinesi, entrambi usciti da pochi anni dall’Accademia di Verscio e con all’attivo un discreto portfolio teatrale: Kevin Blaser e Tommaso Giacopini.

Il primo ha già fatto parlare di sé nel 2016 quando è stato chiamato dai prestigiosi Mummenschanz a partecipare alla loro tournée estiva: un grande traguardo per un neodiplomato in Physical Theater. Il secondo ha trovato spazio su «Azione», sia distinguendosi per la sua appassionata verve poetica declinata con successo in teatro come nel caso de Il Fiore Oltre, da noi recensito, sia come autore e personaggio di talento intervistato da Zeno Gabaglio sempre per queste pagine.

Dopo le prime serate di rodaggio al Foce di Lugano siamo andati a vedere lo spettacolo al Teatro del Gatto di Ascona. Scritto da Tito Bosia con Kevin Blaser, L’incatenato trae spunto dal mito di Prometeo, in particolare dall’opera attribuita a Eschilo, un dramma che, oltre al titano, vede solo divinità e in cui, nel concludere una trilogia, il leggendario eroe viene incatenato da Zeus per aver rubato una scintilla di fuoco divino, donandola agli uomini per sopravvivere. L’incatenato diventa allora metafora di una riflessione sulla vita, sui valori della nostra epoca, sull’ipocrisia che ci circonda, sui disastri umanitari di cui siamo testimoni impotenti e colpevoli.

Un turbamento che emerge con forza da un testo scritto con l’intento di sottolineare un profondo disagio trasformato in una sorta di dialogo fra Zeus-aguzzino (Blaser) e un dolente Prometeo-prigioniero (Giacopini), ma che in gran parte si rivela un esercizio stilistico che mette in luce potenzialità recitative frenate dall’inesperienza e dall’assenza di una regia dalla mano ferma.

Il tutto per uno spettacolo di un’ora gradevole ma ancora acerbo, esposto alle lacune che emergono di fronte a un a prova che si fa necessariamente più seria quando deve confrontarsi con un testo in cui il cambio di registro è centrale nello sviluppo drammatico e nel gioco dei personaggi.

I due attori ce la mettono tutta e con grande onestà d’intenti, anche se le idee restano a mezz’aria, avvolte da monologhi in cui Giacopini dimostra maggior senso della misura accanto alla presenza scenica di Blaser, bella ma ancora affamata di indicazioni. Ciò nonostante abbiamo visto due personalità teatrali interessanti, dalle quali c’è da attendersi molto. E quando è così essere esigenti è d’obbligo.