Potrebbe sembrare uno scherzo, eppure nel cortile di Palazzo Strozzi – capolavoro di Benedetto da Maiano e fra i più significativi esempi di architettura rinascimentale – sono davvero stati installati due scivoli. Non sono piccoli, anzi sono enormi: misurano ciascuno circa cinquanta metri e si snodano – con il loro andamento spiraliforme – dal loggiato del secondo piano fino al pianterreno. Inoltre, se ne aveste desiderio, con un regolare biglietto ed un sacco di iuta, potreste iniziare la discesa lungo uno dei tubi, ospiti ingombranti di questa dimora cinquecentesca. E, in aggiunta a tutto questo, il gentile personale potrebbe anche chiedervi di portare con voi, nel tragitto, un vaso contenente una piantina di fagiolo.
La descrizione iniziale farebbe pensare ad un eccentrico affronto al patrimonio storico artistico, ma in realtà si tratta di una situazione alquanto innocua, nell’ambito della mostra The Florence Experiment. Come esplicita il titolo, l’esposizione si connota come vero e proprio esperimento scientifico e, secondo un uso corrente, prende il nome dalla città in cui viene svolto per la prima volta. Sono in due ad averlo concepito: il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso e l’artista Carsten Höller.
Per meglio inquadrare il contesto, cominciamo da quest’ultimo: tedesco d’origine, nato in Belgio nel 1961, oggi vive a Stoccolma; conclude il suo percorso di studi scientifici con un dottorato in scienze agricole, scrivendo sulle strategie comunicative degli insetti messe in atto tramite il senso dell’olfatto. Poi il suo percorso professionale subisce una svolta piuttosto brusca: abbandona il mondo accademico per intraprendere la carriera artistica. Non dimentica però le sue origini: si imporrà infatti come uno dei casi più celebri degli ultimi anni per la capacità di coniugare scienza e arte. (Questo connubio è stato utilizzato nella promozione della mostra per collegarla alle passioni coltivate in tal senso dalla famiglia De’ Medici, ma ciò pare davvero una forzatura.) Le opere di Höller di frequente occupano l’intero museo che le ospita: i suoi ambienti, spesso presentati nella veste di attrazioni da luna park, portano i visitatori a fare esperienze percettive distorte, grazie a un impiego stravagante, ma calibrato con grande precisione, di luci, odori, volumi e materiali. Di primo acchito si tratta di oggetti giocosi e quasi superficiali che creano un contrasto con quanto è custodito all’interno di un museo. In realtà l’artista suggerisce una visione in grado di incrinare il nostro abitudinario approccio alla realtà delle cose. Celebri furono i grandi scivoli della Turbine Hall nella Tate Modern di Londra (2006), voluti da Höller in quanto «generatori di ebbrezza e felicità», come le giganti e sinistre amanite muscarie capovolte, negli spazi della Fondazione Prada di Milano nel 2000.
Di Stefano Mancuso, l’altro ideatore della mostra fiorentina, «Azione» aveva scritto nel dicembre 2016, in seguito ad una sua conferenza a Lugano. Egli è il fondatore della disciplina oggi nota come Neurobiologia vegetale, che studia le piante nell’innovativa ottica di organismi intelligenti, in grado di comunicare, valutare le situazioni e reagire ad esse nella maniera più efficiente. Mancuso svolge inoltre un’intensa attività di divulgazione scientifica per sensibilizzare il pubblico sull’importanza dei vegetali, sulle sollecitazioni e i rischi che la modernità impone loro e sul dovere di tutelarli, anche per la sopravvivenza della specie umana. Non abbastanza di frequente, infatti, ci soffermiamo sul fatto che la nostra esistenza è strettamente dipendente dalle piante, messe a repentaglio da un atteggiamento ecologicamente non sostenibile. Mancuso richiama la nostra attenzione su questi temi facendo spesso ricorso a collaborazioni in ambito artistico (musica teatro, letteratura) e l’evento fiorentino rientra proprio nell’ambito di questo impegno.
Oltre che dal substrato scientifico, Höller e Mancuso sono quindi accomunati dal fatto di ricorrere a metodi inusuali per dimostrare le loro idee e per richiamare l’attenzione dei loro interlocutori sui temi affrontati, proprio come per The Florence Experiment. Nella sua accezione scientifica, esso ha come obiettivo di valutare l’effetto sulle piante delle molecole volatili rilasciate dai visitatori mentre scendono rapidi dagli scivoli della Strozzina. Le piantine che essi terranno in mano durante la discesa sono riconsegnate, all’arrivo, a biologi che le analizzano nei laboratori allestiti nei sotterranei dell’edificio. La mostra prosegue poi con altre due sale realizzate da Höller: nella prima sono proiettate scene tratte da film horror e nella seconda da film comici. L’aria di queste due stanze viene portata, tramite due distinte condotte di aerazione, alle piante di glicine poste al di fuori di Palazzo Strozzi. I biologi ne valuteranno i parametri vitali, confrontando le diverse reazioni fra le piante che respirano aria dalla prima sala e dalla seconda.
Si potrebbe discutere sulla scelta di costruire una cornice tanto appariscente per mettere in atto un’operazione con valenza scientifica. Oppure ci si potrebbe soffermare sul tema, tanto discusso, della separazione fra mostre e marketing. Ma, in definitiva, perché non si dovrebbe approfittare dell’entusiasmo e della curiosità dei visitatori per uno scopo diverso che il puro godimento estetico? La mostra ha valenza di intrattenimento, ma anche di attiva presa di consapevolezza. Più che la mostra d’arte contemporanea in sé, più che l’esperimento scientifico, la chiave di lettura sembra invece essere quella di richiamare attenzione sulla dignità del mondo vegetale. Se questa interpretazione è valida, si guarda con meno severità alle attrazioni che per qualche mese interferiscono con le rigorose forme dello storico palazzo.