Un dialogo tra la scena e il cervello

Teatro e neuroscienze, nuove prospettive per la formazione dell’attore
/ 25.11.2019
di Giorgio Thoeni

È nato prima l’uovo o la gallina? Al celebre paradosso la scienza ha ormai dato spiegazione, ma se vogliamo seguire un ragionamento logico ancora oggi potremmo perderci nel proverbiale e ingannevole rompicapo. In un certo senso ritroviamo i crismi di un analogo paradosso spostando la nostra attenzione sul rapporto fra scienza e teatro: quale universo di conoscenza delle relazioni nasce per primo?

Peter Brook parlando delle più recenti scoperte sul cervello umano sostiene che la scienza ha cominciato a capire ciò che il teatro conosce da sempre. Come ad esempio la scoperta, avvenuta sul finire del secolo scorso, dei neuroni a specchio, una classe di quella piccola unità funzionale del sistema nervoso che si attiva sia quando un individuo esegue un’azione sia quando lo stesso individuo osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto. La definizione ci porta a una serie di processi interpretativi che nel loro divenire contengono il dialogo ininterrotto tra forme diverse e complementari del sapere. Dunque possiamo dire che nasce prima il teatro all’insegna della formula cartesiana del cogito ergo sum.

È infatti proprio la storia della filosofia nella sua genesi più complessa a fornirci spiegazioni sull’essenza dell’essere umano, sulle sue emozioni, sulle reazioni a sentimenti e relazioni con i simili. Le stesse che vengono esplorate nell’analisi e nello studio dell’arte scenica, considerazioni che hanno portato alla creazione di nuovi percorsi formativi. Se lo erano imposti autorevoli pedagoghi, grandi maestri alla stregua di Stanislavskij, Meier’hold, Vachtangov, Strasberg, Grotowski, Barba, Brook e altri, tutti alla ricerca della verità antropologica, alla conquista dello spettatore attraverso la recitazione. I padri fondatori del teatro del Novecento l’avevano capito durante appassionanti stagioni di ricerca sulla formazione dell’attore, sulle sue capacità di trasmettere emozioni.

Oggi si afferma il dialogo fra teatro, scienze umane e neuroscienze, un ulteriore capitolo di studio che descrive la relazione fra attore e spettatore nel rapporto fra azione e percezione. Una porta aperta, parafrasando Peter Brook, anzi spalancata. Una tendenza che sta contagiando la scena a più livelli, dalla danza al teatro sul terreno della formazione. Un processo che non ha lasciato indifferente Luca Spadaro, regista, drammaturgo, fondatore nel ’92 della Compagnia Teatro d’Emergenza (con Massimiliano Zampetti) e pedagogo. Da poco infatti è in libreria L’attore specchio, un saggio-manuale di 166 pagine pubblicato da Dino Audisio editore e dedicato al training attoriale e neuroscienze in 58 esercizi.

Ma come va interpretata questa urgenza pedagogica? E qual è il grado di parentela con le neuroscienze? Intendiamoci, Spadaro non è uno scienziato. È però un regista attento e scrupoloso che per ottenere risultati interpreta l’atto scenico come equilibrio con quanto accade intorno o dentro l’attore partendo dal principio che se osservo qualcuno compiere un’azione, alcuni neuroni del mio cervello si attivano come se io stesso stessi facendo quell’azione. (…) Così pure le emozioni che vediamo in qualcun altro risuonano nel nostro cervello come se fossimo noi stessi a provarle.

Considerazioni che apparentemente sembrano sconfinare nell’ovvio ma non è così. Il lavoro dell’attore si basa infatti su una sottile relazione che si instaura con lo spettatore partendo dalla teoria dei neuroni a specchio come spiega Spadaro: esistono circuiti cerebrali pre-azionali che si attivano nello spettatore non appena un attore appare sul palco e di cui chi fa teatro deve tener conto costantemente. Possiamo anche chiamarle emozioni condivise che partono dal lavoro dell’attore, passano attraverso i sensi e si depositano nella memoria.

In questo senso il libro è strutturato come una guida articolata che testimonia la passione teatrale dell’autore coltivata con rigore e curiosità in anni di pratica formativa. Come ci racconta la nutrita serie di esercizi corredati da articolate considerazioni. Stimoli verso la disciplina per l’apprendista attore con temi per improvvisazioni e giochi collettivi alla ricerca delle intenzioni più profonde da cui trarre riflessioni, suggerimenti e raccomandazioni dove anche la voce trova la sua centralità come azione fisica. Un’accordatura tra corpo e parola strumenti dell’attore, come ci ricorda Amleto quando si rivolge agli attori della compagnia che deve recitare per lui: adattate la parola all’azione e l’azione alla parola.