Un cuore consapevole

A colloquio con Enrica Bonaccorti, attrice, giornalista e comunicatrice, ma anche testimone dei cambiamenti televisivi che hanno contrassegnato gli ultimi decenni
/ 09.04.2018
di Simona Sala

Probabilmente i più se la ricordano dagli Anni ottanta, quando accoglieva il pubblico in uno dei primi salotti televisivi, con Italia Sera, format di Rai 1, oppure quando chiacchierava e giocava con gli spettatori sul mezzogiorno di Pronto, chi gioca?, diretta da Gianni Boncompagni. Ma forse è solamente oggi che Enrica Bonaccorti riesce ad essere sé stessa fino in fondo, dando seguito alla propria vocazione di comunicatrice preparata, colta e soprattutto molto curiosa verso la vita. Lo dimostra anche durante le numerose presentazioni di libri cui si dedica con verve ed entusiasmo, discettando e bisticciando scherzosamente con i colleghi di turno. La incontriamo al termine della presentazione, fatta insieme alla brava Barbara Alberti, in una libreria romana, di Primo venne Caino (Salani) di Mariano Sabatini. Alla parola «Svizzera» Enrica Bonaccorti si illumina, e inarrestabile comincia a navigare in un fiume di ricordi, tutti accomunati dall’affetto per i personaggi incontrati durante una carriera che non si è mai arrestata, e che l’ha vista dietro ai microfoni della radio, davanti alle telecamere della tv, sotto i riflettori di un palcoscenico, tra le pagine di un libro.

Se si cerca in Internet, alla voce Enrica Bonaccorti, si trova «conduttrice, paroliera, attrice, modella, opinionista, scrittrice...». Lei come si definirebbe in questa fase della sua vita e a quale espressione artistica si sente più vicina?
Definirmi? Diciamo che nei miei lavori c’è sempre stata al centro la parola, la comunicazione, il rapporto col pubblico. Può avvenire in teatro, con un libro, in televisione, in una canzone, alla radio... In Italia si ha la pigra abitudine di mettere un’etichetta sul personaggio, di stupirsi se un attore sa presentare o se un presentatore sa scrivere, chi fa televisione non va bene per il cinema e così via. Io di partenza sono un’attrice di prosa, questo volevo fare e ho fatto nei primi anni di lavoro, continuando a scrivere però. A un certo punto è la vita che sceglie per te... avendo il dono dello scilinguagnolo e molta attenzione nei confronti di temi di natura sociale, ho virato verso la conduzione e il giornalismo. Eppure, sebbene l’ultima volta in teatro risalga ormai a 15 anni or sono al Festival di Taormina, non riesco a rinunciare a niente. Sergio Zavoli, consegnandomi il suo «Guidarello» che premia solo quattro giornalisti ogni anno, mi presentò così: «Enrica Bonaccorti è una giornalista prestata allo spettacolo». È stata una delle mie più grandi soddisfazioni. E pensare che quando ricevetti la telefonata dall’organizzazione del premio, pensai fosse per presentarlo, non per riceverlo!

In un certo modo lei è cresciuta con e dentro la televisione, assistendo a evoluzioni socioculturali importanti, come l’inarrestabile crescita di Mediaset. Qual era la consapevolezza di chi era all’interno della TV a quei tempi? È rimasto qualcosa dello spirito e del modo di allora di fare televisione?
Ho iniziato a fare televisione nel 1971 (!) ed erano già due anni che recitavo in teatro. Allora si cercavano gli attori fra... gli attori. Feci un provino per uno sceneggiato, venni scelta, e continuai per tutti gli Anni settanta a recitare sia in teatro che in varie commedie e sceneggiati tv. La differenza è già tutta nella scelta dei testi: i nostri erano i grandi classici, da I Promessi Sposi alla Baronessa di Carini, che il pubblico imparava automaticamente acculturandosi e divertendosi allo stesso tempo. Io ho avuto la fortuna di interpretare grandi autori accanto a grandi attori. Contemporaneamente avevo iniziato a fare radio come conduttrice, dopo un provino a cui ero andata pensando fosse per un ruolo d’attrice! Migliaia di ore alla radio mi hanno sicuramente preparato alla televisione, che avevo già tanto frequentato come attrice e in cui ora entravo come padrona di casa di programmi importanti. Anche questo avvenne per una serie di casualità e occasioni, che bisogna cogliere al volo però, mettendoci tutta l’attenzione e il talento possibili. E così mi è capitato di dare il via al primo programma quotidiano condotto in coppia da un uomo e una donna, lui giornalista e lei no, che ha cambiato i pomeriggi televisivi del Paese. La mia Italia Sera (ho l’orgoglio di aver inventato il titolo) è la madre di tutte le Vite in diretta, Pomeriggi e Mattine 5 e così via. Ma nonostante il format sia uguale, i contenuti sono decisamente cambiati, così come è avvenuto per gli ospiti e il tono degli interventi in tanti programmi. Non so se oggi sarei ancora adatta a questo genere di trasmissione: ci sono state occasioni in cui ho pensato che io, al posto della conduttrice, forse non mi sarei trattenuta dal cacciare dallo studio certi ospiti troppo maleducati...

La sua attenzione verso il mondo della TV è sempre molto alta. Quali sono scelte o format condivide?
Quello che per me è importante non è il format in quanto tale, ma il modo in cui affronta i contenuti... insomma non la cornice ma il quadro! Anche il format più «basso» può dare spunti di riflessione «alti», se le luci sono giuste.

Enrica, in qualche modo lei è legata anche alla Svizzera, ha interpretato perfino Dürrenmatt.
Io sono molto legata a Lugano perché ho avuto la fortuna di interpretare alcune commedie per la televisione svizzera sotto la direzione di Vittorio Barino. Ho tanti ricordi e tutti belli! Ricordo ad esempio quando recitai il ruolo di una turista italiana isolata per la tempesta in un rifugio e attorniata da valligiani che recitavano solo in Schwyzerdütsch! Non fu facile... Ancora più speciale fu la mia partecipazione a La Meteora di Friedrich Dürrenmatt. Con l’approvazione del grande drammaturgo in persona, fui scelta per il ruolo della moglie del pittore, il quale all’inizio della commedia dipingeva sua moglie... nuda! Era il 1976, fu il primo nudo televisivo: uno scandalo! Ma il testo era bellissimo e gli attori bravissimi: da Renato De Carmine a Giancarlo Zanetti e Didi Perego...

Forse non tutti sanno che ha scritto anche le parole della celebre La lontananza di modugnana memoria. Come nacque la collaborazione?
Lavoravo con Domenico Modugno in teatro. L’amministratore della sua compagnia mi aveva notata a Tindari nella mia prima esperienza teatrale. Avevo 19 anni, iscritta al primo anno di Lettere e Filosofia, la mia poteva restare una parentesi estiva, ma a settembre fui convocata per un provino e fui scelta per un piccolissimo ruolo nella commedia Mi è caduta una ragazza nel piatto. 209 repliche, otto mesi e mezzo di tournée e Biglietto d’oro! Dopo appena due mesi, da un giorno all’altro si dovette sostituire la seconda attrice, e dal momento che ero l’unica a sapere tutta la parte poiché stavo sempre in quinta, non ancora ventenne debuttai al Manzoni di Milano in un ruolo importante! Ma la cosa ancora più importante è che durante quella tournée nacque La Lontananza. Avevo confidato a Mimmo che scrivevo poesie, raccontini, ballate... e lui mi faceva sentire le musiche facendomi provare la metrica. Se la vita è l’arte dell’incontro, quello con lui è stato un capolavoro. Poeta attore artista ancor prima che cantante. Una fonte di energia perenne.

A contraddistinguerla da altre figure del mondo dello spettacolo è sempre stata anche la sua grande attenzione per le minoranze, il suo spirito ogni tanto polemico e un approccio diretto ai suoi interlocutori... 
Sì, ma non lo faccio apposta! È che sono trasparente, incapace di fingere, a meno che non stia recitando su un palcoscenico. Nella vita ho le mie idee e fatico a nasconderle. Io polemica? Pensi che mi trattengo! Diretta sì, ma questa è un’epoca in cui è sparito il confronto, va più di moda l’affronto. Oppure si attenuano i concetti o addirittura si divaga perché non conviene. Ma se sparisce il dubbio e la possibilità di esprimerlo senza ricevere offese o essere esclusi, è peggio per tutti.

Che cosa consiglierebbe a una giovane donna di oggi?
Di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, di leggere molto, di non imitare stereotipi, di non farsi «intruppare» in nessun gregge, di tirar fuori la propria personalità, con tanta grazia ma senza tanti grazie. Sorridente e a testa alta, ma solo se è una testa piena di libri, di informazioni, di attenzione al mondo, di poesia... perché la felicità del tuo cuore dipende dalla consapevolezza della tua mente, è lei che ti rende libera. Questo le direi.