Dove e quando
Tintoretto, 1519-1594. A cura di Robert Echols, Frederick Ilchman, Palazzo Ducale. Il giovane Tintoretto. A cura di Roberta Battaglia, Paola Marini, Vittoria Romani, Gallerie dell’Accademia, Venezia. Fino al 6 gennaio 2019. Cataloghi Marsilio. www.palazzoducale.visitmuve.it, www.mostratintoretto.it

Flagellazione di Cristo, tardi anni settanta del Cinquecento (Collezioni d’arte del castello di Praga)


Un compleanno da non perdere

Tintoretto a Venezia nel cinquecentenario della nascita
/ 01.10.2018
di Gianluigi Bellei

Nel cinquecentenario della nascita Venezia dedica al suo Jacopo Robusti detto Tintoretto una serie di mostre. L’atto di morte di Tintoretto è datato 31 maggio 1594 e qui viene specificata l’età: 75 anni. Ne deriva perciò che è nato intorno al 1518-1519. La storia della famiglia di Jacopo è raccontata in una fantasiosa Genealogia de la casa de Tintoretto. Qui si legge che due bresciani, i fratelli Battista e Antonio Comin, si erano uniti alle truppe veneziane contro le forze imperiali durante l’assedio di Padova del 1509. I Comin hanno combattuto con così grande vigore da essere chiamati «Robusti».

Battista, uno dei fratelli e padre di Jacopo, si era trasferito a Venezia dove aveva aperto una tintoria: da qui il soprannome dell’artista. A quel tempo, in città la popolazione era divisa in tre ordini: i patrizi, i cittadini e i popolari. I cittadini erano gli originari di Venezia e avevano il diritto di esercitare il commercio e di entrare nella pubblica amministrazione. Battista non era nobile, né ovviamente cittadino. Carlo Ridolfi ne Le vite dei Tintoretti del 1994 sostiene che Jacopo in età matura vestiva la toga veneta, quella nera che i patrizi indossavano per andare a palazzo Ducale, in conseguenza del matrimonio e non «per appartenenza all’appropriata classe sociale». 

Giorgio Vasari scrive di lui come «stravagante, capriccioso, presto e risoluto, et il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura». Quando redige le Vite, Tintoretto ha già dipinto diversi capolavori tanto che Vasari non lo può ignorare. Nonostante questo specifica con disprezzo che «ha lavorato a caso e senza disegno, quasi mostrando che quest’arte è una baia». Vasari ritiene infatti che il colore usato dai veneziani non sia altro che una «gruccia per mascherare la scarsa abilità nel disegno». In realtà anche Pietro Aretino lo critica per la rapidità nel dipingere.

Il commediografo Andrea Calmo nel Rimanente de le piacevole et ingeniose littere del 1548 lo descrive come un «granelo de pevere» (pepe) che «zigolando col penelo, fe una fegura retrata dal natural, in meza hora». Sempre nello stesso anno esce a Venezia il Dialogo di pittura di Paolo Pino che nell’annosa controversia tra il primato del disegno e quello del colore trova la sintesi. Il dialogo si svolge fra il pittore veneziano Lauro e il collega toscano Fabio e si risolve nell’accettazione di entrambi del fatto che «se Tiziano e Michiel Angelo fussero un corpo solo, over al disegno di Michel Angelo aggiontovi il colore di Tiziano, se gli potrebbe dir lo dio della pittura, sì come parimenti sono ancora dèi propri, e chi tiene altra operazione è eretico fetidissimo». È del 1545/1546 Venere e Marte sorpresi da Vulcano nel quale Tintoretto cerca di fondere il disegno di Michelangelo e il colorito di Tiziano in un dipinto straordinariamente «sensuoso» che gioca sulle superfici specchianti.

Ma è proprio del 1548 la straordinaria tela del Miracolo dello schiavo nel quale Tintoretto propone una storia che è la fusione di vari episodi in un «tracimante dinamismo», come scrivono in catalogo i curatori della mostra a Palazzo Ducale Robert Echols e Frederick Ilchman, che segna una svolta nell’arte del periodo: «il denudamento dello schiavo, il fallimento di ogni tortura in seguito all’intervento di San Marco, lo stupore del padrone e, infine, la conversione di quest’ultimo». Il dipinto procura subito grande fama al pittore che da allora fa incetta di commissioni. Tante, troppe, il che giustifica in parte la fretta delle esecuzioni. Ma i suoi dipinti non sono certo frutto dell’improvvisazione. Per realizzarli, come altri pittori, crea da solo piccoli ambienti dentro i quali colloca figure in cera o in creta rivestite di stoffa sulle quali posiziona delle luci artificiali per poi realizzare i disegni. 

Il suo stile pittorico, secondo i curatori della mostra veneziana, è fondato su tre fattori: l’energia che gli ha permesso di dipingere con rapidità, composizioni piene di muscolose figure in movimento e infine l’impegno per la produzione di arte sacra. Per questo la sua opera «è pervasa da una forte solidarietà nei confronti del povero e dell’oppresso in armonia con la missione delle istituzioni caritatevoli che furono i suoi committenti più importanti».  

Organizzare una mostra monografica su Tintoretto fuori da Venezia è sempre un problema soprattutto per la sua vocazione a dipingere grandi tele. Ma anche perché le opere più importanti sono quasi tutte a Venezia. L’ultima retrospettiva esauriente è datata 1937. Una mostra comunque controversa, questa di Ca’ Pesaro, sia per le opere di scarsa qualità che per le grandi tele, come Il ritrovamento del corpo di San Marco proveniente dalla Pinacoteca di Brera, arrotolate e rimontate due volte.

Da allora le mostre si sono concentrate su di un singolo aspetto della sua arte, come per esempio quella del 1994 alle Gallerie dell’Accademia riguardante i ritratti. Per contro le panoramiche dedicate all’arte veneziana, come The Genius of Venice del 1984 a Londra e Le siècle de Titien del 1993 a Parigi, mettevano in primo piano gli altri artisti lasciando in ombra Tintoretto. Nel 2007 il Museo Nacional del Prado a Madrid inverte la tendenza realizzando la prima importante retrospettiva dopo quella del 1937.

Da questo progetto e dai seguenti studi è sorto l’evento odierno che consiste in due mostre principali con altre di contorno. Le Gallerie dell’Accademia presentano i lavori del periodo giovanile dal 1538 al 1548 e Palazzo Ducale le opere della maturità. A Palazzo Mocenigo troviamo La Venezia di Tintoretto con i costumi dell’epoca; alla Scuola Grande di San Marco Arte, fede e medicina nella Venezia di Tintoretto con documenti d’archivio, manoscritti, codici miniati, incisioni, tele, pergamene. Infine gli itinerari tintorettiani in città: una quarantina di chiese, musei e biblioteche in una sorta di permanente mostra diffusa tra i quali citiamo unicamente la Scuola Grande di San Rocco alla quale l’artista ha lavorato per vent’anni dal 1564.

Le due mostre principali possono vantare prestiti eccezionali dai principali musei di tutto il mondo. Il prossimo anno, dal 10 marzo al 7 luglio, una parte di questi lavori sarà trasferita alla National Gallery of Art di Washington.

Tutto il percorso è da seguire, opera per opera. Citiamo solo i due autoritratti che aprono e chiudono le esposizioni. Quello del 1546/47, proveniente dal Philadelphia Museum of Art, nel quale l’artista appare con gli occhi penetranti che sprigionano la forza della personalità e l’impazienza giovanile. L’aspetto è volutamente trascurato, diversamente dagli autoritratti di Tiziano che si rappresenta con le vesti opulente e la doppia catena d’oro. Poi quello del 1588, proveniente dal Musée du Louvre di Parigi nel quale ci osserva con lo sguardo fisso nel vuoto come un vecchio «che contempla con fredda desolazione la sua mortalità». 

Ottimo l’allestimento come le luci, soprattutto a Palazzo Ducale. Ottimo anche il catalogo, sempre quello di Palazzo Ducale, strumento di consultazione e di aggiornamento con la bibliografia e l’indice dei nomi e dei luoghi. Buon compleanno, quindi, Jacopo!