Le aspettative erano molto alte per la quarta stagione di una delle serie tv più popolari degli ultimi anni: La casa di carta. Aspettative, diciamolo subito, che in buona parte sono state disattese. I famosi rapinatori spagnoli con la maschera di Dalì, guidati dall’altrettanto noto Professore, non sono riusciti a confermare quanto di buono erano riusciti a fare nelle prime due stagioni. E se la terza era stata una serie di transizione, dove si potevano comunque già vedere diversi pilastri che si stavano sgretolando, quest’ultima ha confermato la brutta piega.
I personaggi si sfilacciano cadendo spesso nel ridicolo e la trama precipita pericolosamente nella soap opera. Sono questi gli aspetti principali che colpiscono in modo negativo, soprattutto nella prima parte della nuova serie. Per fortuna, verso la fine, il thriller prende il sopravvento e la fiction si salva in corner. È utile ricordare ai pochi che non conoscono La casa di carta un minimo di trama: dopo che nelle prime due stagioni ci siamo appassionati al colpo nella Banca di Spagna, dalla terza siamo all’interno di un altro simbolo della ricchezza: la Zecca di Stato, che i «nostri» vogliono svaligiare.
Dicevamo dei personaggi e della trama. Se nei primi anni La casa di carta aveva trovato un punto di forza nella caratterizzazione precisa dei vari personaggi chiamati con nomi di città (la bella e misteriosa Tokyo, la diretta e allegra Nairobi, l’aggressivo ma dolce Denver, ecc.) in queste ultime stagioni cambiano in maniera inverosimile. E i legami tra di loro mutano costantemente lasciando sconcertati gli spettatori. Di più: ci sono molte scene che iniziano in modo drammatico e nello spazio di poche battute virano al grottesco. Ecco: la scrittura meno controllata, rispetto alle prime stagioni, di Alex Pina è un altro fattore che contribuisce a rendere il tutto un po’ assurdo.
Inoltre i numerosi flashback, soprattutto quelli del matrimonio di Berlino (l’ex capo della banda), oltre a non essere funzionali al proseguimento della storia, sono anche piuttosto imbarazzanti, come il momento in cui si mettono a cantare in coro Ti amo di Umberto Tozzi o Cerco un centro di gravità permanente di Franco Battiato.
Per fortuna, gli ultimi episodi focalizzati più sulla rapina, risollevano La casa di carta. Così come tiene in vita la serie Alicia Sierra, la spietata e furba ispettrice di Polizia che riesce a essere l’unico personaggio interessante e forte di quest’ultima (ma lo sceneggiatore ha già annunciato che ci saranno due sequel) stagione e a fungere da antagonista ai nostri Robin Hood moderni.