Bibliografia
Angelo Casè. Il loculo. Racconto. Introduzione di Flavio Catenazzi. Giampiero Casagrande editore 2017, 177 pagine

Angelo Casè (1936-2005) avrebbe meritato un maggiore successo


Un Bianconi inedito in un inedito Casè

Lo scrittore di Minusio e l’autore dell’«Albero genealogico» protagonisti di un racconto postumo
/ 26.03.2018
di Pietro Montorfani

Spesso tra un autore di primo piano e un outsider di lusso, persino nel panorama non affollatissimo della letteratura svizzera di lingua italiana, la differenza è minima, infinitesimale, una faccenda di pochi centimetri. Con il passare del tempo, però, lo stacco si fa più netto, fino a divenire incolmabile: vi concorrono le circostanze, le recensioni replicate o mancate, i premi vinti e quelli «persi», le amicizie, le invidie, gli editori, la sfiga (mi si passi il termine quasi scientifico). Angelo Casè, scomparso nel 2005, attende ancora di vedersi riconosciuto il salto di categoria.

Eppure aveva iniziato nel migliore dei modi, con un piccolo gioiellino in versi (Il Silos, Locarno, Carminati, 1960) tenuto a battesimo da Giorgio Orelli ed elogiato tra gli altri da Montale, Luzi, Sereni; proprio con il favore di quest’ultimo, la seconda raccolta poetica era uscita addirittura da Mondadori, cinque anni più tardi, con il simpatico titolo I compagni del cribbio e una copertina di quelle che oggi ce le sogniamo. Quel che è successo dopo, tra vita professionale e familiare, la lunga attività di insegnante, la gestione di una galleria d’arte, le pubblicazioni per bambini, i problemi di salute, andrebbe studiato nel dettaglio, per offrire il ritratto di una biografia non banale, che interseca a più altezze una ricca produzione letteraria in versi e in prosa.

Da qualche anno, sospinto dalle amorevoli premure del fratello Pierre, l’editore Giampiero Casagrande ha iniziato a pubblicare, di Casè, testi inediti o di difficile reperibilità: le ultime poesie di Taedium vitae (2005), la ristampa del Silos (2015) e ora questo lungo racconto che l’autore aveva steso sul finire degli anni Ottanta rinunciando poi alla pubblicazione, per ragioni che il prefatore Flavio Catenazzi individua nell’alto tasso di intimità presente nell’opera. L’ipotesi è plausibile e convincente e in fondo è più giusto che esca oggi, a molti anni dalla morte dei protagonisti, questo Loculo (titolo perfetto, anche se non dei più sexy) che è davvero il cristallizzarsi di un’epoca e di un’atmosfera, a partire dai meccanismi misteriosi con cui agisce la memoria umana.

La scena è semplice: una visita cimiteriale compiuta da Tommaso Mandelli (alter ego dell’autore) finito per caso davanti al loculo di un suo antico professore della Magistrale, un docente di grande carisma e cultura che il libro lascia volutamente anonimo, ma dietro cui si intravvede, senza esitazioni di sorta, la figura di Piero Bianconi. Basterebbero questi pochi dati per capire come un sottile gioco tra realtà e finzione, letteratura e vita, innervi i nove capitoli del libro, sospeso a una narrazione che a più riprese assume i toni di una pagina di diario. 

Anche se la frequentazione non fu assidua, Casè ha saputo cogliere il cuore della personalità di Bianconi, con tutte le sue idiosincrasie e le sue passioni: «L’anziano docente, voltata la schiena al traffico malandrino, con le pupille rapide sbiluciava su per la collina per verificare l’erezione di qualche nuova gru metallica, luccicante al sole, ignobile forca per impiccati, biascicava furente: e recitava l’incipit villoniano dei pendus, con voce amara e commossa» (p. 61); «Osservava deglutendo, il Prof.: in sé certamente collegando nozioni note a supposizioni sue, tirando le fila di muti ragionamenti rapidi quanto limpidi nella logica delle ipotesi, delle tesi, del sillogismo stretto che lo aveva distinto fino in età veneranda nella cerchia delle persone colte della regione» (p. 126).

Poiché il racconto ha già avuto lettori esperti, Catenazzi nella prefazione e Ottavio Besomi sull’ultimo fascicolo della rivista «Cenobio», mi limito qui a proporre due idee-lampo. La prima, nonostante il taglio tipico di un’introspezione psicologica anche molto esibita, è la grande capacità descrittiva di Casè, vero maestro nella pittura di paesaggio: «le lame d’argento bombardavano l’ampio golfo, là dove la strozzatura della zona di Valmara diceva essere quella riva già italiana. Una magnificenza di luce che durava fino alla lentissima agonia del dopocena, quando, nel color cenere del panorama, si accendeva la luminaria della città» (p. 97). La seconda è invece la compresenza, a tutti i livelli del lessico e della sintassi, di alto e basso, aulico e prosaico, quotidiano e sublime. Se si allarga lo sguardo ai coetanei di Casè (Plinio Martini, i due Orelli, Alberto Nessi) viene il sospetto che sia, questa, un cifra stilistica di tutta quella stagione letteraria, forse persino la sua più intima essenza.

Resta da dire della copertina, un Ex Voto di Pierre Casè dedicato naturalmente a Piero Bianconi: non si sarebbe potuta fare scelta migliore.