Giorgio Ieranò insegna letteratura greca all'università di Trento


Un arcipelago reale e immaginario

Affascinante viaggio nello spazio e nel tempo verso le isole dell’Egeo
/ 24.09.2018
di Giovanni Fattorini

In una radiosa giornata estiva di molti anni fa, nell’isola di Sifnos (che non conosceva ancora l’orrore del turismo di massa), mentre dall’alto di una parete rocciosa guardavo «il sorriso innumerevole del mare» (innumerevole e infido, perché il mare, come ha scritto Conrad, «non è mai stato amico dell’uomo»), ebbi improvvisamente la certezza di essere già stato lì, in una vita anteriore. Una «illuminazione» che non si è ripetuta mai più, in nessun luogo. È per questa ragione che quando ho avuto tra le mani il libro di Giorgio Ieranò, Arcipelago. Isole e miti del Mar Egeo, sono andato subito a cercare, nell’indice dei luoghi, il nome «Sifnos».

Purtroppo, la piccola isola della mia folgorazione è fuggevolmente menzionata tre sole volte nel libro di Ieranò (docente di Letteratura greca all’Università Trento). La prima, in un epigramma di Antipatro di Tessalonica (un poeta vissuto al tempo di Augusto), citato a convalida dell’affermazione che «l’idea della decadenza dell’arcipelago è uno stereotipo letterario che risale almeno all’epoca romana».

La seconda, in un poema di Odysseas Elytis intitolato Axion esti, popolarissimo in terra greca, anche perché è stato messo in musica da Mikis Theodorakis. (Axion esti è un’espressione di derivazione liturgica, corrispondente al Dignum est, «È cosa buona e giusta», della messa cattolica. Tra le cose buone e giuste, per Elytis – premio Nobel 1979 – ci sono le isole del Mar Egeo). La terza volta, infine, là dove si legge che Serifos è «una delle poche isole che, con Sifnos e Milos, aveva rifiutato di capitolare di fronte ai persiani».

Lasciata alle mie spalle Milos (famosa perché nel 1820 vi fu rinvenuta la Venere di marmo – Ieranò ne racconta brillantemente le disavventure – che ora si trova nel Museo del Louvre), mi sono diretto verso Serifos. Wikipedia la liquida in poche righe; Ieranò le dedica una decina di pagine, in cui dice che pur avendo inviato una pentecontere (una nave a remi e a vela, dotata di un rostro per le manovre di speronamento) in appoggio alla flotta ateniese nella battaglia di Salamina (480 a.C.), l’isola di Serifos, per i greci, era «sinonimo di povertà e simbolo di insignificanza. […] La desolazione dell’isola era però riscattata dalla forza trasfiguratrice del mito. Serifos è infatti l’epicentro di una delle più celebri leggende dell’antichità»: quella di cui è protagonista Perseo.

Sospinta dalle onde, fu sulle rive di Serifos che approdò la cassa in cui Acrisio, re di Argo, aveva fatto rinchiudere la figlia Danae e il piccolo Perseo, nato dal congiungimento della bellissima fanciulla con il massimo degli dei olimpi, Zeus, che in forma di pioggia d’oro era penetrato nella stanza sotterranea dove Danae era stata reclusa perché un oracolo aveva predetto ad Acrisio che sarebbe stato ucciso da un nipote. Per narrare, sia pure in modo sintetico, il mito di Perseo – di cui esistono versioni parzialmente diverse – servirebbe più spazio di quello che resta a mia disposizione. Mi limito quindi a ricordare – Ieranò parla diffusamente delle mirabili imprese dell’eroe argivo – che grazie agli strumenti di cui lo avevano munito Atena, Ermes e le Naiadi, Perseo riuscì a mozzare la testa dell’anguicrinita Medusa, che trasformava in pietra chi ne fissava il volto, come sperimentò il perfido re di Serifos, Polidette.

Una realtà importante della piccola isola cicladica sono state le miniere di ferro. «Attive già nell’antichità», scrive Ieranò, «furono rilanciate durante la francocrazia e poi riaperte in età moderna». Nel 1879, il loro sfruttamento passò dalla fallita Compagnia mineraria greca – un ente pubblico – a una multinazionale finanziata da francesi e turchi e gestita da un ingegnere tedesco, Emile Grohmann, a cui nel 1906 successe il figlio Georg.

«Costretti a lavorare per dodici ore al giorno, senza alcun diritto sindacale», nell’agosto del 1916 i minatori incrociano le braccia, reclamando in primo luogo una riduzione dell’orario di lavoro. «Assai più severo e rapace del padre», Georg Grohmann sollecita la gendarmeria greca a intervenire con durezza. Il 21 agosto l’esercito spara sui manifestanti uccidendone quattro. Le miniere verranno definitivamente chiuse nel 1963. «L’isola, lentamente, si avvia a diventare una meta turistica».

È perché assai meno famosa di Creta, Delo, Naxos, Samo, Rodi o Santorini che ho scelto l’isola di Serifos per esemplificare, in modo più che succinto ma non generico, come Ieranò si sia proposto di percorrere «rotte in cui si incrociano il mito e la storia, la realtà e la fantasia», rinnovando l’antico progetto di Cristoforo Buondelmonti, il cui Liber insularum Archipelagi, nel 1420, inaugurò un genere che ebbe ampia diffusione nel Rinascimento, quello degli «isolari», «dove la descrizione dei luoghi si accompagna alla narrazione di “historie e favole”». Il libro di Ieranò vuol essere – e lo è in maniera affascinante – un isolario del XXI secolo.

Bibliografia
Giorgio Ieranò, Arcipelago. Isole e miti del Mar Egeo, Einaudi, pp. 277, € 20.