Il film, tratto dal libro Uno di noi – La storia di Anders Breivik della norvegese Asne Seierstad, racconta la vera storia di Breivik e del processo da lui subìto dopo il doppio attentato terroristico di Oslo e dell’isola di Utoya che il 22 luglio 2011 provocò settantasette morti e centinaia di feriti. La regia è di Paul Greengrass (Captain Philips, Jason Bourne).
Il film inizia con la costruzione della bomba da parte di Breivik (Anders Danielsen Lie) e con una breve presentazione degli altri personaggi principali. La scena dell’attentato è fra le prime. Ho apprezzato molto questa scelta perché il film si basa sui postumi fisici e mentali della tragedia, e i personaggi li conosciamo solamente dopo l’attentato. Questo evita banalità e mette subito lo spettatore sull’attenti.
La regia ha un tocco documentaristico. L’intera pellicola è girata con una camera a mano, senza alcuna carrellata o inquadratura statica, dando un’impronta realistica al film. Greengrass non propone una visione dalla componente spettacolare e lascia poco spazio a una fotografia che avrebbe potuto sfruttare meglio i magnifici paesaggi della Norvegia.
I personaggi sono delineati piuttosto bene: ognuno ha vissuto un’esperienza diversa e al momento del processo solleva dei temi rilevanti. Significativo il caso della ragazza immigrata che dopo l’attentato è attanagliata dalla paura o del giovane che non si abbatte nonostante la cecità dovuta a frammenti di bomba ancora presenti nel cervello. Tuttavia il grande protagonista dell’opera è Breivik. Fino all’arresto non lo sentiamo parlare, vediamo solo il suo volto vuoto e privo di emozioni, ma determinato a compiere un progetto pianificato per nove lunghissimi anni. Lo spettatore vuole conoscere Breivik, perché inizialmente non sa nulla di lui. Poco a poco si scoprono sempre più dettagli su di lui: la sua personalità emerge, incutendo timore. Breivik ha un’elevata capacità oratoria e il tribunale diventa il palcoscenico per le sue ideologie. Egli è un uomo capace di mettere alle strette gli altri senza consentire vie d’uscita. Un vero mostro.
22 luglio non è un’opera priva di difetti ma riesce nel suo intento di raccontare una storia tragica, commuovendoci e mettendo alla prova il nostro senso della giustizia. Nella scena del processo in cui la polizia si rivolge ad Anders in modo fastidiosamente tranquillo, dandogli tempo, ascoltandolo e facendolo parlare, quando pochi istanti prima lo abbiamo visto uccidere una colonia di ragazzi innocenti, è difficile non provare odio.
Ma l’odio istintivo e animale che alberga in noi non fa altro che annebbiare i valori sociali su cui basano le nostre evolute società democratiche.