Dove e quando
Impressionismo e avanguardie. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art. A cura di Jennifer Thompson e Matthew Affron. Milano, Palazzo Reale. Fino al 2 settembre. Catalogo Skira.

Mary Cassatt, Donna con collana di perle in un palchetto, 1879 (Philadelphia Museum of Art, Lascito di Charlotte Dorrance Wright, 1978)

Henri Rousseau, Una sera di carnevale, 1886 (Philadelphia Museum of Art, Collezione Louis E. Stern, 1963)


Tutti in America

Dipinti dal Philadelphia Museum of Art a Palazzo Reale di Milano
/ 07.05.2018
di Gianluigi Bellei

Andiamo tutti in America! Forse di questi tempi non è il caso, ma alla fine dell’Ottocento era una manna; anche per l’arte. Nel 1860 gli Stati Uniti erano il quarto paese più industrializzato del mondo e a fine secolo il primo. L’industria moderna correva parallelamente all’intensificarsi della ferrovia. Anche se, a dire il vero, la ricchezza era concentrata nelle mani di poche persone. Solo 25’000 individui possedevano la metà di quella nazionale. Dall’altra parte della Terra, a Parigi, nel 1875 abitavano 8000 artisti, «un esercito di studenti d’arte e migliaia di persone impegnate nel commercio di opere d’arte». Gli artisti, soprattutto gli impressionisti, godevano del favore del boom economico del momento. Fino al crollo dell’Union Générale nel 1882 che innesca il crack della borsa francese. Ma c’era l’America con i suoi nuovi ricchi che avevano bisogno del mito dell’arte per sentirsi colti, à la page.

Già nel 1866 Cadart, il mercante parigino famoso perché la sua bottega è il centro della Société des aquafortistes, va a New York con tantissimi dipinti di Corot, Courbet, Ribot… Dopo la crisi anche Paul Durand-Ruel si decide e, in un primo momento, invia 200 opere dei suoi impressionisti a New York dove poi nel 1887 apre una galleria.

Negli anni Settanta sorgono i maggiori musei americani come il Museum of Fine Art di Boston, il Metropolitan di New York e il Philadelphia Museum of Art.

I collezionisti americani erano prevalentemente divisi in due categorie. I nuovi ricchi che compravano opere di artisti morti o famosi come investimento conservatore e riconoscimento del loro stato sociale, e i vecchi magnati delle ferrovie o dell’industria che possedevano una ricchezza capitalizzata e potevano rischiare comprando opere di artisti viventi. Una bella contraddizione, soprattutto per gli impressionisti considerati da tutti degli antiborghesi. Che però sguazzavano bene nell’ambiente e come dei bravi affaristi giocavano sulla rivalità fra i loro due mercanti Durand-Ruel e Petit.

Il Philadelphia Museum of Art ha una collezione di duecentoquarantamila opere rappresentative di duemila anni di storia. Nel 1925 è nominato direttore lo storico Fiske Kimball che invia i suoi collaboratori in Giappone, in Cina, in Francia, in Inghilterra, ad acquistare arredi e quant’altro. Oggi possiede opere che vanno dalle antiche statue buddiste alle scritte al neon di Bruce Nauman. Ha bisogno di una ristrutturazione e di un ampliamento. L’incarico è stato dato all’architetto Frank Gehry e i lavori dovrebbero terminare nel 2020.

Nel frattempo alcune opere sono in pellegrinaggio all’estero. Si tratta di cinquanta lavori di pittori impressionisti e postimpressionisti che ora sono esposti a Palazzo Reale di Milano fino al 2 settembre grazie alla collaborazione fra Palazzo Reale, appunto, e MondoMostre Skira.

A Filadelfia tutto inizia grazie alla pittrice Mary Cassatt che soggiorna a Parigi. Il fratello Alexander, il quale gestisce la Pennsylvania Railroad, una delle società più grandi del mondo, la raggiunge nel 1882 assieme alla moglie e inizia a comprare opere di Manet, Monet, Degas. Alla presidenza della Pennsylvania Railroad dopo Cassat viene nominato Frank Graham Thomson che lo imita nei suoi viaggi parigini. Ed è qui che conosce Paul Durand-Ruel il quale, intuite le possibilità di vendita, si trasferisce in America.

Il museo si è ingrandito grazie alle donazioni dei collezionisti locali che in genere offrivano interi nuclei di opere. Fra questi troviamo Albert C. Barnes, chimico e uomo d’affari; Samuel Stockton White membro di una famiglia che possedeva la più grande fabbrica di forniture dentistiche degli Stati Uniti; Henry P. McIlhenny con la sorella Berenice McIlhenny Wintersteen; Albert Eugene Gallatin, avvocato di origine facoltosa che si dedicava solo al collezionismo d’arte; Louise e Walter Arensberg, rispettivamente poeta e pianista e infine Louis E. Stern, avvocato patrocinatore che nel 1964 ha donato al museo più di trecento opere.

A Palazzo Reale la mostra si snoda attorno alle figure di questi collezionisti ed espone le loro donazioni. Sale sobrie, con dipinti ben distanziati e ottimamente illuminati; all’inizio di ogni sala la foto del mecenate con la sua biografia; schede per ogni quadro, sintetiche ed esaustive come nel catalogo. Insomma una bella mostra non certo di carattere scientifico, ma piacevole e alla portata di tutti. Mette voglia di andare a Filadelfia a vedere il museo, magari dopo la ristrutturazione di Frank Gehry che sarà stupenda. Come tutti i suoi interventi.

Fra le opere esposte segnaliamo Donna con collana di perle in un palchetto di Mary Cassatt del 1879; la Cassatt è stata l’unica pittrice americana ad esporre con gli impressionisti. Il dipinto di bella fattura mostra una giovane mentre osserva le persone dei palchi opposti riflessi nello specchio alle sue spalle. Stesso gioco con La classe di danza di Edgar Degas del 1880 nel quale uno specchio dietro le giovani ballerine riflette la vista sul panorama industriale che si intravvede dalla finestra opposta. Poi Il ponte giapponese di Claude Monet del 1895, fatto costruire dall’artista nella sua tenuta di Giverny per poter ammirare le ninfee che sperava di coltivare: la prima delle trecento opere che Monet ha dedicato al giardino acquatico. Curiosa, infine, la storia de L’atleta di Auguste Rodin del 1901-1904. Nel 1901 il futuro collezionista Samuel Stockton White, allora studente all’università di Cambridge e culturista, viene presentato ad Auguste Rodin come modello. L’artista rimane impressionato dalla possenza e dalla «schiena larga e robusta» del giovane che gli permette di «sfruttare gli avvallamenti e i rigonfiamenti dei muscoli per attirare la luce», come scrive Jennifer A. Thompson in catalogo, e realizza una scultura che richiama il Pensatore del 1880-1881. In questo caso l’uomo sembra riposare più che meditare, ma il piccolo bronzo è un capolavoro di perfezione scultorea con la sua posizione a chïasma e il modellato plastico e vigoroso.