Talvolta è grazie a un’esposizione se una storia dimenticata ci torna alla memoria. Leggendo dell’Antico Egitto tutti si saranno imbattuti nelle straordinarie figure di Osiride e di Iside, divinità importanti nel Pantheon egizio, intimamente legate ai miti di fondazione del regno e delle relative dinastie regnanti.
La storia, così come la riporta Plutarco e come viene raccontata in molti documenti tramandati, è in sintesi questa: Osiride, re dell’Egitto, come era consuetudine allora, sposa la sorella di nome Iside. Il trono è però ambito dal fratello Seth che uccide Osiride chiudendolo dentro un sarcofago d’oro che getta poi nel Nilo. La moglie riesce a recuperare il corpo del marito, ma Seth non demorde e questa volta, per essere sicuro di non avere rivali al trono, recupera la salma, la taglia in 14 parti che getta ancora una volta nel fiume. Ma anche Iside non è una che si dà facilmente per vinta; parte infatti alla ricerca del corpo del marito che riesce a recuperare in diverse località lungo il corso del Nilo.
Grazie alla magia Iside si trasforma in un rapace che schiudendo le ali sopra le parti ricomposte di Osiride, riporta in vita lo sposo per un momento; con lui concepisce un figlio che chiamerà Horus e che alleverà affinché vendichi il padre. Dopo una lunga lotta Horus riesce a sconfiggere Seth, diventa lui sovrano d’Egitto e da allora ogni faraone si considererà la personificazione del dio falco Horus, al quale verranno eretti templi in tutto il Paese; mentre Osiride diventerà il signore del regno dei morti e a lui sarà dedicato un culto particolare.
Il tema è quello della morte del corpo e successiva resurrezione, ben presente del resto in tutte le religioni del mondo, a significare l’anelito alla vita nell’aldilà, come pure il ritorno della natura fiorente in primavera e le cicliche piene del Nilo, toccasana per l’agricoltura.
Da questa leggenda inquietante e dai suoi risvolti nasce l’esposizione presentata ora al Museo Rietberg di Zurigo che arriva da noi dopo aver fatto tappa a Parigi e Londra. Trecento oggetti, dei quali una quarantina provenienti dai musei del Cairo e di Alessandria, che sono il frutto di scoperte archeologiche recenti e che escono per la prima volta dall’Egitto per l’occasione. Si tratta di reperti sottratti alle acque del golfo di Abukir vicino ad Alessandria, dove un tempo sorgevano i centri religiosi di Heracleion e Canopus, in dieci anni di ricerche da parte della Missione franco-egiziana guidata da Franck Goddio – creatore dell’Istituto europeo di archeologia sottomarina – grazie all’impiego di mezzi tecnici di ricerca e recupero dei materiali estremamente sofisticati.
Esplorazioni subacquee che hanno riportato alla luce oggetti del VII-IV secolo a.C. e di epoca greco-romana a testimonianza della persistenza del culto dedicato a Osiride: stele con dediche, sarcofagi, statue di faraoni e divinità di grandi dimensioni come pure oggetti di uso quotidiano legati alle cerimonie religiose, che culminavano con una processione, celebrate regolarmente nel corso dell’anno nella località sul Mediterraneo.
Tra le testimonianze archeologiche più significative una serie di piccole barche votive in piombo e di oggetti di culto usati nel corso proprio delle processioni dei sacerdoti e dei fedeli in onore del Dio della terra dei morti. Il tutto presentato in una scenografia suggestiva che, come è stato fatto anche per la mostra all’Antikenmuseum di Basilea sui preziosi reperti emersi dal mare al largo dell’isoletta di Anticitera, vuole ricreare per il visitatore l’atmosfera un poco magica e intrigante che vivono gli archeologi subacquei, con scene accattivanti come quella che mostra il busto marmoreo di un faraone appoggiato sul fondale marino circondato da pesciolini che lo sfiorano incuranti e ignari della sua passata potenza, che contrasta con il ben diverso atteggiamento di meraviglia e rispetto degli archeologi che si avvicinano circospetti al prezioso reperto da riportare in superficie.