C’è forse una stagione che ispira leggerezza, stimola amicizie, proietta nel gioco malizioso dell’amore. Ne sa qualcosa il flautista Richard che in una vacanza al Capo conosce una giovane ereditiera, Susan, con un matrimonio fallito alle spalle e una gran voglia di riprendersi la vita. «Quanto ti ho aspettato», gli dice, con una frase un po’ enfatica. Del resto nel racconto Fine stagione, uno dei sette che compongono il libro del tedesco Bernhard Schlink, Bugie d’estate, pubblicato da Neri Pozza nella versione di Susanne Kolb, l’atmosfera è carica di aspettative, emotivamente surriscaldata.
Sono giorni di vacanza e di mare, giorni in cui l’esistenza dei due protagonisti condensa nella gioia dell’attimo la speranza del comune futuro. Una coppia che inventa per sé l’amore e i baci. Susan capace di scoprire in lui ciò che lui stesso non sa vedere; Richard, a sua volta, consapevole di aver ormai dimenticato come si fa a stare da soli. Poi un breve congedo per ritrovarsi al più presto. Lei in procinto di trasferirsi da Los Angeles a New York, dove lui ritorna, incerto se trasferire «la sua vecchia vita dentro quella con Susan». La felicità a portata di mano scivola così nell’inquietudine e nel dubbio: un’ illusione costellata di immagini sempre più sfocate.
Il giurista-scrittore Bernhard Schlink, per anni magistrato e docente di filosofia del diritto, abbandona i suoi temi tradizionali mettendo in scena personaggi intrappolati nelle proprie contraddizioni, incapaci di affrontare gli interrogativi dell’esistenza, pronti a nascondersi dietro silenzi e menzogne. L’autore del bestseller internazionale Il lettore, riproposto di recente da Neri Pozza, non rispolvera qui il tragico passato tedesco, ma offre piuttosto un’intensa riflessione sulla debolezza della natura umana. Un’analisi che coinvolge la classe medioalta e intellettuale quasi fosse il parametro dell’intera società, dando alla fine l’impressione di una certa innaturale claustrofobia.
Ci sono giornalisti e scrittori, diplomatici fasulli, ereditiere come Susan, musicisti e buone borghesi con famiglie ben inserite in settori importanti della vita sociale. Apparentemente un mondo perfetto, in realtà la scena di un inganno collettivo i cui attori sono per lo più figure maschili trincerate dietro il silenzio o la menzogna. Come l’autore di teatro nel racconto La notte a Baden-Baden che porta con sé alla prima della sua pièce l’amica Therese. Poi trascorrono la notte in uno splendido hotel. Nulla di male se lui non avesse da anni un legame con Anne a cui ha taciuto ogni cosa.
Non basta il fatto che nella lussuosa suite i due non abbiano avuto rapporti, resta un disagio profondo che sfocia nel ridicolo tentativo di trovare giustificazioni quando la sua compagna, che a Oxford tiene un corso sui diritti delle donne, scopre l’inganno. «Posso rimanere al tuo fianco solo nella verità», gli dice con fermezza. Parole aperte sul tema di fondo: conquistare la propria libertà senza tradire se stessi e gli altri. Bisogna essere liberi, ricorda Schlink, per poter vivere con la verità. Poco per volta ci riuscirà forse anche il drammaturgo che inscena la vita degli altri, ma non onestamente la propria.
Un compito arduo anche per Werner Menzel, individuo petulante e ambiguo, un tempo al ministero dell’Economia, che, nel racconto Lo sconosciuto nella notte, infligge al proprio compagno di viaggio, il fisico Jakob Saltin, sul volo New York-Francoforte la storia della sua improbabile esistenza. Ironia della sorte: è lui stesso a chiedersi che cosa sia la verità «che si aggira solo nelle teste delle persone e non viene accertata a dovere». Forse solo menzogna o inganno con cui egli imbastisce il suo stesso racconto: la sua compagna Ava, rapita dall’attaché diplomatico dell’ambasciata del Kuwait, poi fuggita e da lui uccisa durante un diverbio, i milioni misteriosamente accreditati sul suo conto e da lui investiti con profitto. Un istrionismo e una fantasia che ricordano il Felix Krull di Thomas Mann.
Ma la vita stavolta non fa sconti: Menzel finisce in carcere per omicidio e riaffiora dopo alcuni anni a casa del fisico per chiedere denaro e salire sul primo volo per l’America. Resta lo stupore di Saltin che si è lasciato manipolare in modo indegno. Dov’è finito il suo realismo di cui andava fiero, si chiede imbarazzato.
E non c’è risposta a un tale disagio come non c’è di fronte alla chiusura paranoica del marito della scrittrice Kate nel racconto La casa nel bosco. È un giovane autore tedesco senza successo. Mentre la moglie sta finendo il suo ultimo romanzo sul futuro di una coppia in crisi e vince il National Book Award, lui bada alla figlioletta Rita e sogna di trasformare la casa appena acquistata in mezzo alla natura, a cinque ore di macchina da New York, nel tempio della loro felicità.
Nulla deve disturbare il loro buen retiro: ecco perché egli interrompe di nascosto la linea telefonica, crea ostacoli sulla stradina che li unisce al villaggio più vicino e le nasconde la notizia del premio letterario. L’idillio si trasforma nella sua mente in una folle segregazione. Vani sono i tentativi di dissuadere la moglie, che ha terminato il romanzo, ad andare in paese con la figlia. Finiranno ambedue in ospedale dopo aver sbattuto con l’auto contro lo sbarramento creato dal marito che non voleva perdere quel mondo che «gli era parso fosse suo da sempre e per sempre». L’illusione soccombe alla lezione inesorabile della realtà, ma quell’uomo si adagia nel proprio delirio e sogna un futuro in quel bosco di fantasmi.
Mentre il protagonista dell’Ultima estate, un ex professore universitario, raccoglie intorno a sé e all’amata moglie nella casa sul lago la famiglia intera, figli e nipoti, per ritrovare in una manciata di giorni tutti gli ingredienti della felicità. Di fatto è un segreto addio, perché sa di essere malato grave e ha deciso di suicidarsi. L’affettuosa messinscena è offuscata dalla consapevolezza di una menzogna che, scoperta dalla moglie, mette in crisi tutti i rapporti. Lei è la prima ad andarsene, decisa a non assistere come una comparsa al suo tragico commiato. E poi fanno i bagagli anche figli e nipoti. E dire che si era sentito così bene con loro, ma «la felicità non era voluta restare accanto a lui».
Così come non è rimasta con l’anziana signora di buona famiglia ne Il viaggio verso sud che paura e indecisione allontanarono da un tenero amore giovanile inducendola a rientrare nella sicurezza del suo mondo borghese che non le garantì alcuna felicità. C’è in questo racconto tutta la tenerezza fra una nonna e la propria nipote così come in Bach sull’isola di Rügen il difficile rapporto fra padre e figlio si addolcisce fra le note della musica bachiana. L’uno avvocato, l’altro giornalista, e tra di loro un muro d’incomprensione. «C’era il niente fra lui e il padre, il niente», vien detto; ma lentamente si apre un dialogo sul passato durante il loro soggiorno musicale e le lacrime del padre mentre ascolta i mottetti di Bach serviranno forse a sciogliere quel silenzio che lo ammutolisce e lo allontana dai propri familiari.
Bernhard Schlink scrive qui pagine coinvolgenti e intense su illusioni e speranze infrante, silenzi e bugie. Mette in scena una società che cerca disperatamente affetto e vicinanza, ma poi tradisce se stessa fra mille inganni. E rivisita con commozione il mondo a cui anche lui appartiene, ma con una distanza che mira alla verità, per quanto amara possa essere. Senza tradimenti né ipocrisie.