Dove e quando
India antica. Capolavori dal collezionismo svizzero. Museo d'arte Mendrisio. Fino al 26 gennaio 2020. Orari: ma-ve 10.00-12.00/14.00-17.00; sa, do e festivi 10.00-18.00. mendrisio.ch/museo

Tara verde, Bihar meridionale, XII sec. d.C., arenaria rossa


Tra misticismo e seduzione

Al Museo d'arte di Mendrisio i capolavori dell'India antica
/ 23.12.2019
di Alessia Brughera

Non fu soltanto la sua componente esotica e sensuale ad affascinare in epoca moderna gli artisti d’Occidente: l’antica arte indiana era permeata da una spiritualità capace di andare ben oltre il coinvolgimento meramente estetico.Benché non paragonabile all’impetuoso ascendente che ebbe la cultura artistica africana su tanti maestri del XIX e XX secolo, la produzione scultorea e pittorica dell’India, infatti, esercitò una grande influenza sulle arti visive europee, rivelando un repertorio formale nuovo ed esuberante a cui si accompagnavano profondi significati religiosi.

Questo connubio di opulenza e ascetismo fu di estremo interesse per molti pittori: Gustave Moreau, ad esempio, seppe trasfigurare l’enfasi decorativa dell’India in visioni di un mondo favoloso e onirico, il simbolista Odilon Redon riuscì a cogliere l’aspetto contemplativo di questa millenaria civiltà trasponendolo nelle sue raffinatissime tele intrise di luce, Ernst Ludwig Kirchner, uno dei padri dell’Espressionismo tedesco, maturò un linguaggio dalle forme piene direttamente ispirato alle maestose figure femminili indiane, in particolare a quelle dipinte nel complesso monumentale di Ajanta, che l’artista aveva avuto modo di ammirare su alcuni volumi trovati in biblioteca.

Da quel triangolo che oltre all’India racchiude il Bangladesh, il Pakistan e lo Sri Lanka, arrivando fino alle regioni alle pendici della catena montuosa dell’Himalaya, proviene un’arte preziosa e multiforme, specchio dell’imponente varietà di soluzioni espressive e di stili che si sono susseguiti e stratificati nel corso dei secoli legandosi a un contesto religioso in cui convivono, ancora oggi, le tre dottrine del buddhismo, dell’induismo e del giainismo.

La comprensione dell’arte indiana antica, di cui sono giunti fino a noi soltanto i manufatti realizzati con i materiali più durevoli, non può prescindere da queste credenze incentrate sulla ricerca di una via della saggezza per superare i paradossi dell’esistenza.

Le opere d’arte non sono altro che uno strumento in mano all’uomo per raccontare il suo rapporto con l’universo e per attuare una fusione tra le forze contrastanti che caratterizzano la sua vita. Ecco allora che la creazione artistica viene concepita come un processo attraverso cui placare la dicotomia tra materia e spirito, puntando su una voluttà deliberata che lega questi due elementi in un complesso simbolismo.

A testimoniare la fervida potenza visiva della produzione artistica dell’India è la mostra allestita nelle sale del Museo d’arte di Mendrisio, istituzione non nuova a rassegne dedicate ai tesori delle grandi civiltà del passato. L’esposizione è curata da uno dei maggiori esperti al mondo di arte indiana, Christian Luczanits, e raccoglie oltre settanta sculture provenienti da collezioni elvetiche, dando vita così a un ricco nucleo di opere che, sebbene non sia esaustivo nel rappresentare l’arte dell’India nella sua eterogeneità, costituisce un eloquente spaccato di ciò che di questa cultura ha interessato maggiormente l’Occidente.

E, difatti, tra i numerosi pezzi raccolti in mostra, realizzati in un arco temporale che va dal II secolo a.C. al XII secolo d.C., a dominare sono i manufatti dalle tematiche legate al buddismo. Tutti lavori dall’autore ignoto o di cui si conosce pochissimo, perché l’anonimato nell’arte indiana significava per l’artista andare oltre l’ottenimento della gloria individuale in favore di una funzione sociale che permettesse di rendere visibile allo spettatore le forme dell’Assoluto.

Le tante raffigurazioni delle divinità che sfilano sotto i nostri occhi nell’itinerario espositivo ci danno un’idea di come questi esseri venerati, che nella cultura dell’India incarnano le forze spirituali e il loro travalicamento, siano stati oggetto, nel tempo, di varie trasformazioni di senso e di significato, a cui hanno fatto seguito mutamenti dal punto di vista simbolico e fisico.

Ad aprire la rassegna è un’opera riconosciuta come uno dei pezzi più importanti dell’arte indiana, il pilastro di una balaustra circostante lo stūpa, il tipico edificio che conserva le reliquie del Buddha, su cui è rappresentata una figura femminile nell’atto di afferrare il ramo di un albero. Realizzata con la pietra arenaria rossa caratteristica della regione di Mathura, dove si sviluppò un’importante scuola di scultura tra il II e il VI secolo d.C., questo lavoro si impone per la grazia e la sensualità della donna ritratta.

Può stupirci il fatto che i corpi femminili, inseriti in un contesto spirituale, abbiano forme tanto floride e provocanti, ma nella religiosità indiana ciò non viene percepito come qualcosa di peccaminoso, cosicché la raffigurazione muliebre diventa emblema di potere fecondo e augurale, di abbondanza e prosperità. La stessa avvenenza, rafforzata dalla sofisticata eleganza e dalla ricchezza degli ornamenti, si coglie anche nelle rappresentazioni delle yaksi, donne dall’estremo fascino che personificano l’energia materna della natura, così come in quelle di tante altre divinità, come Pārvatī, idealizzazione della bellezza femminile (suggestivo, in mostra, il bronzetto che la immortala seduta su un fiore di loto), o Vāgīśvarī, «Signora del Discorso», dea voluttuosa e conturbante proprio come viene effigiata nella terracotta del periodo Gupta esposta a Mendrisio, considerata tra le più notevoli riproduzioni di questo essere divino.

Tante anche le immagini di Buddha presenti nella rassegna. Tra queste spicca una scultura in scisto grigio risalente al II-III secolo d.C. che ritrae la figura del bodhisattva, splendida opera realizzata nella regione del Gandhara, luogo di nascita di una scuola d’arte che sapeva combinare mirabilmente forme greco-ellenistiche e soggetti orientali.Inaspettata chicca all’interno del percorso è un disegno che Alberto Giacometti eseguì nella seconda metà degli anni Cinquanta raffigurante la copia di un grande Buddha, probabilmente del periodo Gupta, il cui portamento nobile e impassibile ebbe una certa influenza sulla creazione di una delle sue Femme debout. Un esempio, questo, di quanto l’antica arte indiana, così come era accaduto con molti altri artisti, fosse riuscita a sedurre anche il maestro svizzero.