Tra danza e flussi di coscienza

La danza incontra Schubert: un capolavoro fisico, musicale e filosofico
/ 15.04.2019
di Giorgio Thoeni

È possibile che ancora oggi il nudo sul palcoscenico possa generare un mugugno da parte di qualche ormai raro benpensante. Bisogna riconoscere che il moralismo è alimentato da buone ragioni laddove c’è esibizionismo gratuito o pretestuosa provocazione. L’esito è di tutt’altra natura quando si riconosce una vocazione per la poetica dell’estetica narrativa. Come nella danza, un’arte dove il corpo e il movimento raramente sono oggetto di facili voyeurismi, specie quando sono il frutto di una ponderata e necessaria materia che accompagna al bello, al sublime. Ne potrà convenire l’affollata (e fortunata) platea del San Materno che recentemente ha potuto applaudire La morte e la fanciulla di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, danzatori, coreografi e fondatori dell’omonima compagnia.

Un capolavoro formale dove la dimensione coreografica sfiora quella perfezione che affascina nella contemplazione di corpi nudi avvolti nella nebbia e nella trama musicale del celebre Quartetto per archi in Re minore di Franz Schubert, una dimensione esoterica e filosofica del mistero della vita a confronto con la morte, opposti che guardano all’infinito.

Non ha avuto dubbi Tiziana Arnaboldi nell’invitare ad Ascona lo spettacolo, forse una leggera preoccupazione per il nudo in scena, presto fugata da 55 minuti di pura bellezza: tre danzatrici dai lunghi e folti capelli scuri e sciolti, tre nude sinfonie con le eccellenti Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas e Claudia Rossi Valli. La cifra tre già evoca un’antica simbologia numerologica di compiutezza divina, ma le allusioni si sprecano anche nelle evocazioni figurative. Da Le tre età di Klimt a Le tre grazie del Canova rincorrendo Matisse, Botticelli, Schiele, dove la bellezza dei corpi si staglia in scena, tele pittoriche che cadenzano i tempi musicali (Allegro, Andante, Scherzo allegro molto, Presto) fra immagini che spiano le donne dietro le quinte.

La danza è veloce, a tratti nervosa. È precisa, allusiva, ora animalesca tensione di contrasti, ora evocazione di una stregoneria lontana, con i corpi che si rincorrono, sussurrano, ammiccano, da delicati assoli a favolosi intrecci. È danza, con la D maiuscola, un piacere per l’anima. È anche contemporaneità, debitrice di un passato che rivive con elegante riconoscenza la scuola di Carolyn Carlson e l’avventura dei Sosta Palmizi. La morte e la fanciulla (vincitore del Premio Danza&Danza nel 2017 e finalista al Premio Ubu 2018) è fra i più belli e intensi spettacoli di questa stagione.

La mia biografia è un’opera d’arte
Io sono un errore perché voglio essere un errore. È una delle frasi-chiave proiettate sullo sfondo di The Night Writer (Giornale notturno), primo spettacolo in lingua italiana scritto e messo in scena da Jan Fabre, visto al LAC trasformato in gradinate per l’occasione. È un collage drammaturgico composto di stralci di un diario del regista belga scritto tra il 1978 e gli anni 90 e brani tratti da alcuni suoi spettacoli, da La reincarnazione di Dio a Drugs Kept Me Alive.

È un patchwork a misura di confessione raccontata, urlata e cantata da Lino Musella, straordinario interprete che vale l’intera performance. Seduto a un tavolino sistemato al centro di un tappeto di sale fra quattro sassi, l’attore, sfoglia pagine intime e sprezzanti come nell’atto di costruirne una drammaturgia estranea, sofferta e blasfema per i guerrieri della bellezza di Fabre, in lotta fra biografia, arte e teatro, fra sensi di soffocamento esistenziale, sensualità, provocazione e disciplina del gesto artistico. Un flusso di coscienza, uno sfogo.