Fabrizio Rosso

Nato a Torino, ha studiato pianoforte nei conservatori di Torino, Zurigo, Lugano e direzione cinematografica alla USC School of Cinematic Arts di Los Angeles. Ha partecipato a numerosi progetti nell’ambito della musica nuova – tra i vari con Karlheinz Stockhausen (per la prima esecuzione e l’incisione di Sonntags-Abschied) e Sylvano Bussotti (per la versione multimediale di «Solo» dall’opera La Passion selon Sade) – lavorando in contesti quali Berliner Festspiele, Biennale di Venezia, Hangar Bicocca a Milano, Teatro Manzoni a Bologna, Teatro Stabile di Torino e Tonhalle Zürich. Ha partecipato alla creazione delle fortunate tanto quanto atipiche rassegne Lanterna Rossa e Neon&Caffeine presso il Conservatorio della Svizzera italiana, dove è anche attivo come professore. Come regista ha curato scrittura e realizzazione di diversi cortometraggi (presentati e premiati su scala internazionale) e diretto lo spettacolo teatrale con Anahì Traversi La Extravagancia #0, selezionato per lo Schweizer Theatertreffen 2015.

Valigia musicale

1. Un vecchio carillon

2. Il film Fantasia

3. Il libro Sull’utilità e il danno della storia per la vita

4. L’intera A26 

5. Un mixer audio


Tra carillon e autostrade

Il lavoro di Fabrizio Rosso è il risultato della competenza tecnica mescolata al pensiero
/ 21.08.2017
di Zeno Gabaglio

Nella valigia musicale

1. Un vecchio carillon – Apparteneva a mia mamma, o forse già a mia nonna, quella scatola di legno laccato, chiusa da un coperchio con impresso un disegno orientale stile Hokusai e contenente uno specchio, già all’epoca molto rovinato. Sollevando il coperchio si attiva il meccanismo del carillon e da un sottile cassetto è possibile vedere il congegno meccanico. È un oggetto senza alcun valore artistico o commerciale, ma nella mia vita è stato determinante. Quasi fosse un altarino proibito, andavo di nascosto nella stanza dei miei genitori, lo guardavo, lo aprivo, ne venivo magicamente catturato: quel coperchio era una porta su un mondo parallelo. Il mio intimo sentimento per la musica e per l’arte è ancora legato a quei momenti in cui il suono mi trascinava verso un universo segreto e misterioso, in grado di trascendere completamente la normale vita quotidiana.

2. Il film: Fantasia – Ora è soltanto una banca, quello stupendo palazzo ottocentesco in corso Vittorio Emanuele a Torino. Ma un tempo lì c’era il Cinema Corso e, com’era uso, una volta pagato il biglietto si poteva stare in sala fino alla chiusura, come in piscina. Questo accadde quando mia madre mi portò a vedere Fantasia di Walt Disney, film che lei si dovette subire tre volte di fila. Quel che non sapeva è che io attendevo con trepidazione solo l’episodio La notte sul Monte Calvo con le musiche di Modest Musorgskij. Il brivido che mi trasmetteva la visione della montagna che si trasforma nel Diavolo era allora incomprensibile, ma è chiaro oggi: i miei mostri più spaventosi sono la manifestazione allegorica di desideri inconfessabili e pericolosi. Grazie al film Fantasia ho imparato che metterli in scena o in musica è un modo per farli vivere e godermeli senza rischi.

3. Il libro: Sull’utilità e il danno della storia per la vita – La conoscenza della storia vissuta come adorazione del passato si può trasformare in malattia, se il «non più» si declina al presente come un categorico «mai più». Questo è l’assunto di base del terzo – e decisamente più impegnativo – oggetto che metto in valigia. Avere cultura oggi significa essere colti, cioè dotti; però questa non è una vera cultura, ma solo una specie di sapere intorno alla cultura: non sapendo ricavare niente da noi stessi preferiamo piuttosto trasformarci in enciclopedie ambulanti. Nietzsche illustra i sintomi della malattia in un artista vivente che «per forza maggiore» si ritrova a essere attivo nel presente: «si smette di credere in se stessi e si sprofonda nel deserto accumulato delle cose apprese». Questo libro aiuta a non dimenticare che senza libertà, fiducia in se stessi e una certa dose di ingenuità è impossibile agire nell’arte in modo autentico e personale. A chi si è dovuto sorbire anni di formazione accademica, consiglio di bere ogni tanto l’amara medicina distillata e conservata in questo testo. 

4. L’intera A26 – La valigia dovrà essere ben grande per questo quarto oggetto: tutta intera la A26, l’autostrada che solca in direzione Nord-Sud la terra di mezzo fra Torino e Milano. La A26 in molti punti è dritta come una strada americana, è assai poco frequentata e la castrazione elettronica del radar è cosa rara, per cui i limiti sono variabili e corrispondono alla velocità che la tua auto vuole raggiungere. Dato che la casa è il luogo da cui si parte e in cui si ritorna, la A26 è la via che prima dal Monferrato e poi dal Ticino mi ha collegato al mondo, mi ha accompagnato alle porte dell’Europa, mi ha lasciato sulla pista degli aeroporti milanesi verso America e Asia, ma soprattutto è un filo d’Arianna verso il mare. Percorrendola sono stato visitato da molte idee poi confluite nei miei lavori, ho ascoltato molta musica e vissuto avventure immaginarie: quell’autostrada è testimonianza vivente che le schegge di libertà possono esistere.

5. Un mixer audio – Non importa la marca o il modello o la grandezza: il mixer audio è lo strumento per eccellenza di tutta la musica elettroacustica, sia live sia registrata. Il mixer miscela le voci, regola le proporzioni delle intensità sonore, modifica il rapporto fra i timbri creando il suono stesso del brano musicale. Un missaggio può deformare un buon brano fino a renderlo mostruoso, perché la musica – come in genere l’arte – si basa sulla ricerca del giusto equilibrio fra le parti in gioco. Il mixer è uno strumento semplice che non emette suoni ma crea gerarchie: è lo strumento del regista del suono, che non sta in gioco ma dietro al gioco.