Tolo Tolo, la prova di Luca Medici

La prima volta alla regia di Checco Zalone
/ 06.01.2020
di Blanche Greco

«È forte Checco, chissà che ha combinato stavolta! Hai visto il videoclip?» – diceva sorridendo un ventenne già pronto a sganasciarsi dalle risate in sala, aspettando in fila davanti al cinema col suo gruppo di amici di vedere Tolo Tolo. «Ma perché fare il regista come Luca Medici?» «Perché è il suo nome vero. Mi pare che Fellini si chiamasse proprio così, ma lui l’attore, non lo ha fatto mai.» Il vero film era lì, nelle lunghe code davanti ai cinema, dove si canticchiava qualche verso di Immigrato, tra il pubblico che ha fatto impennare il box office del primo giorno di programmazione di Tolo Tolo, con un incasso da record di più di otto milioni e mezzo di euro, battendo persino il debutto di Quo Vado? (2016), il penultimo miracolo cinematografico di Checco Zalone e il film che sanciva il suo successo di comico fuori dagli schemi, surreale, capace di far ridere dell’Italietta paesana alla prova della modernità, buttata in Europa, presa in giro dai furbi del mondo intero di cui lui, Checco era il prototipo: un ragazzo di provincia che con candida ignoranza si arrabattava nel lavoro e sognava l’amore vero, combattendo contro i mulini a vento della società.

Ma che ne è di quel mondo in Tolo Tolo (Solo Solo)? È sempre da lì che parte Checco. Stavolta da Spinazzola nelle Murge pugliesi dove, fallito il grandioso progetto di far amare il sushi ai suoi concittadini, carnivori e adepti della salsiccia, imprenditore incompreso, ha lasciato alla sua grande famiglia una montagna di debiti e ha preso la via dell’Africa. Ma da quel paradiso, scacciato dalle milizie dell’Isis, Checco dovrà fare ritorno in Italia attraverso il deserto, il mare e mille pericoli, rifugiato in mezzo agli africani. Peccato che dopo l’inizio verace e zaloniano, Checco in Africa perda la sua verve, la sua fantasia atavica, e le sue radici di uomo del sud, così che invece di confrontarsi da «sudista a sudista» con gli africani, lo vediamo impegnato in sterili giaculatorie contro le tasse italiane e poi preda di rigurgiti coloniali e mussoliniani.

Ammaliato dall’Africa della commedia all’italiana, voglioso di farla sua come regista, Medici si perde nel continente africano e trasforma il suo Checco in ogni sequenza in qualcosa di diverso: più Pozzetto, più Sordi, più Villaggio, più personaggio dei cartoon con tanto di canzoncine, sempre più lontano dallo Zalone-sentire, sognante ignorante, ma ruvido, comico e popolano.

Ma un miracolo Medici-Zalone però è riuscito a farlo: ha trasformato la sua Africa e i suoi personaggi africani nell’Italietta paesana dei suoi primi film. Ma chissà se il suo pubblico ci riderà sopra e glielo perdonerà.