La parola di Stefano Massini è ormai da considerare come un consolidato tracciato del verbo teatrale italiano. Dai primi anni del nuovo secolo a oggi la sua fortunata e perfetta macchina drammaturgica lo ha portato a firmare opere che hanno raccontato le tele di Van Gogh, la tragica storia della giornalista russa Anna Politkovskaja, il Gerolamo Savonarola di Don Gallo e la trilogia dei fratelli Lehman, fino alle rivendicazioni operaie di 7 minuti. E diverse altre ancora fino al recente adattamento de Il nome della rosa di Umberto Eco.
In un certo senso per tutto ciò possiamo dire grazie al grande Luca Ronconi. È stato lui infatti ad accorgersi per primo del grande talento che ha «invaso» la scena italiana di questi ultimi anni facendo innamorare il pubblico grazie anche a grandi interpreti e grandi registi. Nell’opera del prolifico autore fiorentino pulsa un cuore sociale che si sposa a un’attenzione particolare e profonda verso i grandi temi dell’uomo, della donna, del lavoro, della famiglia, dell’individuo: tutti soggetti immersi nella storia contemporanea. Sguardi intelligenti che nascono da microstorie per parlarci di dimensioni più ampie in una dinamica spiccatamente teatrale dove il gioco drammaturgico si affida all’attore e alla sua abilità teatrale nel lasciare allo spettatore, e a lui solo, la capacità di riempire i vuoti con immagini tratte dal mondo esterno che viene evocato dalle parole del testo.
Un esercizio che a Massini riesce molto bene anche con L’ora di ricevimento. Banlieue, dove la sua abile penna descrive la comunità multirazziale fra le mura di una scuola di periferia in cui si rispecchia il quotidiano scontro con la realtà. Quella fatta di differenze, di pregiudizi e di rabbia, di dialogo, spesso delicato e difficile, fra religioni. Massini è attento alle diversità e al gioco di equilibri che richiede la convivenza delle culture. Le cogliamo dal racconto del professor Ardeche, docente di letteratura in una scuola della «banlieue» di Tolosa.
Il giorno del colloquio con i genitori degli allievi adolescenti è un rituale che mostra un affresco di umanità variopinte e controverse, a volte spigolose ed esigenti, testimoni di una società che sta cambiando. Ardeche ha capito che per non capitolare deve affrontare il suo lavoro con spirito zen e con un briciolo di cinica furbizia, sublimando le tensioni con la tolleranza e la letteratura, fra le pagine di Baudelaire e di Rabelais, illustri incognite per una giovane platea di ignari guerrieri.
La regia di Michele Placido ha confezionato due ore di spettacolo intelligente e leggero prodotto dallo Stabile dell’Umbria. Ospite del Teatro di Locarno, Banlieue ha proposto un ispirato Fabrizio Bentivoglio nel ruolo del pedagogo protagonista accolto da numerosi applausi condivisi con Francesco Bolo Rossin (pavido collega dai toni sparati in falsetto), Giordano Agrusta, Arianna Ancarani, Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori, Balkissa Maiga, Giulia Zeetti e Marouane Zotti.