Grande orso bruno nella foresta (© Jacques Ioset)

Testa d'orso scolpita, arenaria, scultura a tutto tondo, grotta di Lsturitz, Pirenei atlantici, 19.000 - 11.000, Museo Archeologico Nazionale, Saint-Germain-en-Laye. © Rmn-Grand Palais (Museo nazionale di archeologia) / Franck Raux

Dove e quando
Ours, Neuchâtel-Hauterive, Laténium, Parc et musée d’archéologie. Fino al 6 gennaio 2019. www.latenium.ch  


Storia di un’amicizia tra nemici

A Neuchâtel una mostra ripercorre la presenza del plantigrado alle nostre latitudini
/ 19.11.2018
di Marco Horat

Per visitare la mostra attualmente aperta nello spazio riservato alle esposizioni temporanee del Laténium di Hauterive basta seguire le impronte disegnate sui marciapiedi che circondano il museo; orme di un grosso e pacifico orso.

Sì, perché è a questo compagno d’avventure dell’uomo fin dalla preistoria, che viene dedicato l’intrigante percorso ideato dai ricercatori del museo neocastellano: un viaggio sulle tracce dell’orso, dalla notte dei tempi fino ai nostri giorni, partendo dall’antico orso delle caverne – quello che abitava anche sul Monte Generoso – fino ai vari tipi di orsacchiotti che tengono compagnia ai nostri bambini, grazie all’episodio che vide protagonista il cacciatore pentito Theodore Roosevelt e un vignettista che trasformò il grosso orso bruno al quale il Presidente si rifiutò di sparare in un piccolo Teddybear dagli occhi dolci.

«L’orso ha in effetti accompagnato la vita dell’uomo a partire da 40mila anni prima della nostra era e poi nei millenni successivi», dice Géraldine Delley che ha curato l’esposizione svizzera, ripresa da un’originale idea del Museo di archeologia nazionale di Saint-Germain-en-Laye. E questa è già una buona ragione per occuparcene, visto che le tracce dell’orso sono presenti non solo in Francia ma anche in Svizzera fin dal Paleolitico, in molte grotte (con l’orso delle caverne) e da 20mila anni in avanti con l’orso bruno». Per fare un esempio, vicino a Neuchâtel è stata recentemente riaperta al pubblico la grotta di Cotencher nella quale sono anche riprese le ricerche archeologiche dopo una lunga interruzione, con nuovi studi che hanno permesso ad esempio, in base ad analisi stratigrafiche, di datare la mandibola di un neandertaliano trovata anni fa ed ora esposta al Laténium, a più di 50mila anni fa, forse addirittura 70 mila! Il che la rende una delle testimonianze più antiche della presenza dell’uomo nelle nostre regioni.

In mostra scheletri ritrovati in tutto il Paese, ricostruzioni di animali e ambienti, immagini storiche, manufatti eccezionali esposti in vetrina, accompagnati da video con brevi documentari e interviste a specialisti; quindi un capitolo intrigante di storia culturale dell’uomo, dove si incrociano natura e cultura. La mostra è pensata anche per coinvolgere le famiglie, con momenti interattivi e pubblicazioni dedicati ai più giovani.

È a partire dal Paleolitico che compaiono le prime rappresentazioni nell’arte parietale e poi su quella mobiliare, con caratteristiche speciali rispetto al resto del mondo animale. «La relazione tra l’uomo e l’orso è sempre stata ambigua e molto particolare; questa è stata l’altra ragione per la quale abbiamo focalizzato l’attenzione proprio sull’orso. Una ricercatrice francese ne ha censito per il Paleolitico oltre 200 rappresentazioni, osservando due cose interessanti: l’orso è quasi sempre ritratto come animale solitario (a differenza di bisonti, cavalli, tori e mammuth che vediamo a Lascaux o Rossignac sempre in gruppo) e di profilo; inoltre appare spesso in posizione discosta, addirittura nascosta agli occhi di chi guarda; raramente è a confronto diretto con un uomo». Perché? Un omaggio nei confronti di un animale timido e riservato, ma anche rispettato e temuto per la sua forza che lo pone in relazione con energie ultraterrene, quindi degno di forme di culto? Forse. L’uomo lo ha da sempre temuto (un orso delle caverne ritto sulle zampe posteriori poteva misurare fino a quasi 4 metri di altezza) ma anche indicato come animale totemico. L’orso animale da cacciare o lui stesso cacciatore di uomini, ci possiamo chiedere?

In una vetrina sono esposte delle parures datate XVIII secolo che vengono dalla regione delle Grandi pianure americane con denti e unghie di orso bruno; accanto vi è invece un piccolo osso antico ritrovato nella regione di Neuchâtel: «Un pezzo raro – dice ancora Géraldine Delley – perché si tratta di un osso penico. L’orso è l’unico animale ad esserne dotato e questo probabilmente presso l’uomo preistorico ne accresceva simbolicamente l’immagine di forza e potenza sessuale, quindi di fertilità». L’osso veniva messo da parte e conservato come elemento importante nella vita della famiglia o della comunità. L’orso delle caverne diventa protagonista suo malgrado nelle dispute ottocentesche tra scienza e religione. È grazie alle scoperte archeologiche effettuate un po’ in tutta Europa e nel mondo, in grotte e sui manufatti che lo ritraggono al minimo 20mila anni or sono, che gli scienziati possono affermare l’antichità della vita sulla terra, di fronte a chi parla di una creazione dal nulla avvenuta 4000 anni prima della nostra era. La Preistoria entra così di diritto nella sfera della scienza dalla quale era stata esclusa poiché ritenuta un insieme di fantasie.

Da allora l’orso vive tra di noi, più o meno discretamente fino a quando non disturba la nostra quiete: sulle bandiere, sulle maglie di una squadra di hockey, nel nuovo parco di Arosa, fino a qualche anno fa al circo, nei cartoni animati, nei negozi di giocattoli, nei supermercati e sulla carta dei nostri alimenti...