Bibliografia
Hermann Hesse-Peter Weiss, Stimatissimo Signor Mago. Corrispondenza 1937-1962, a cura di Beat Mazenauer e Volker Michels, traduzione e cura dell’edizione italiana di Mattia Mantovani, Armando Dadò editore, Locarno, p. 180.


Stimato Signor Mago le scrivo

Uscito per i tipi di Dadò il carteggio tra Hermann Hesse e Peter Weiss
/ 09.03.2020
di Luigi Forte

Tra Peter Weiss, autore di drammi politici come La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat o L’istruttoria e il romantico Hermann Hesse la distanza sembra incolmabile. Eppure i due scrittori, come ci ricorda il volume pubblicato da Dadò editore Stimatissimo Signor Mago. Corrispondenza 1937-1962 a cura di Mattia Mantovani, furono in contatto per anni. Li divideva più di un’intera generazione. Lo svevo Hesse era nato infatti nel 1877 a Calw, mentre Weiss era del 1916 e veniva da Babelsberg nei pressi di Berlino, sede del principale studio cinematografico tedesco dell’epoca di Weimar. Vuoi l’età, vuoi la fama acquisita fin dal suo primo romanzo, Peter Camenzind (1904), dove il protagonista rifiuta il mondo per dedicarsi completamente all’arte, facevano di Hesse il maestro ideale a cui chiedere consigli. Per di più il romanziere e poeta era anche un ottimo pittore di acquerelli, quindi il mentore perfetto per quel giovane ventenne finito con la famiglia a Warnsdorf, un paesino al confine boemo, dove amava soprattutto dipingere e sognare un futuro d’artista.

Non era facile stanare Hesse dal suo buen retiro di Montagnola vicino a Lugano dove da anni viveva con la moglie Ninon. Eppure la prima lettera di Weiss del gennaio 1937, che dispensa ammirazione e cerca sostegno ai suoi progetti, ebbe una pronta risposta. Forse per la breve prosa Skruwe, che vi aveva accluso, in cui emerge l’idea di un nuovo romanticismo e del «sentimento mistico del mondo» ben presente in tante pagine del romanziere svevo. Weiss fa centro: il maestro lo esorta a continuare studi ed esercizi, specie nei disegni a penna, e gli consiglia di inviarne alcuni per un’eventuale collaborazione a G. Bermann, il genero del suo vecchio editore S. Fischer.

Non se ne farà nulla, tuttavia l’entusiasmo cresce: il giovane spedisce non di rado riproduzioni fotografiche dei suoi dipinti e s’immagina all’inizio di un lungo percorso con molte possibilità. L’incoraggiamento di Hesse lo aiuta altresì a convincere i genitori che il suo futuro è legato all’arte. È un momento magico. Deve assolutamente incontrare il suo idolo, così nel luglio del 1937 parte da Warnsdorf e in treno, a piedi o in autostop raggiunge il Ticino. Dirà più tardi in un’intervista del 1979: «Andai a cercare Hesse, che mi accolse in maniera molto amichevole, e trascorsi l’intera estate su a Montagnola, nella vecchia casa, la “Casa Camuzzi”, nella quale Hesse aveva abitato a suo tempo e aveva scritto L’ultima estate di Klingsor (…) Mi invitò spesso a pranzo, potei stare con lui quando si suonava musica nella sua biblioteca e rimanere con lui in giardino quando giocava a bocce».

L’allievo e il maestro si intendono a meraviglia: Hesse apprezza il modo di inventare storie del giovane e un certo tocco inattuale nella compresenza di pittura e scrittura. Weiss, dal canto suo, percepisce originali fermenti nella propria generazione che sembrano scaturire dall’anticapitalismo romantico del Mago: «Forse è soltanto la volontà di sottrarsi – come scrive nel dicembre del 1937 – alla terribile meccanizzazione, all’appiattimento per trovare nuovi valori…». Chiuso nel suo atelier a Praga, dove frequenta l’Accademia d’arte, Weiss cerca riparo nel suo mondo d’immagini, mentre Hesse nel maggio del 1938 gli ricorda che di fronte a un mondo più ostile che mai esiste un rifugio solo «nella sfera magica del nostro lavoro». Ha sempre più l’impressione di un progressivo smantellamento di tutto quanto ha costruito nel corso degli anni, mentre aumenta la sua preoccupazione di fronte agli inquietanti eventi europei che coinvolgono i parenti ebrei della moglie costretti alla fuga da Czernowitz.

Anche Weiss, la cui nonna paterna era ebrea, dal Ticino, dove soggiorna di nuovo nell’ottobre del 1938, è in ansia per i genitori dopo l’occupazione nazista dei Sudeti, mentre cerca a fatica di sopravvivere con la sua attività artistica. Finirà per seguire i genitori in Svezia nel gennaio del 1939, dove suo padre aveva ottenuto un posto di dirigente in una fabbrica di tessuti. Per un certo periodo vi lavorerà lui stesso, un senza patria «visto dappertutto come un estraneo, come uno straniero mole-sto e fastidioso», confessa nell’aprile del 1939. Eppure non tarderà a imparare lo svedese trasferendosi a Stoccolma all’inizio del 1941, dove proprio in quei mesi avrà luogo una grande esposizione dei suoi ritratti e disegni. Ma il successo tarda a venire e lui pensa allora di emigrare negli Stati Uniti. Però anche stavolta Hesse, afflitto da forti dolori e con una salute assai precaria, non potrà aiutarlo non avendo conoscenti americani che offrano garanzie per l’emigrante.

Sono tenere queste lettere, talvolta un po’ fuori del tempo, sullo sfondo di una tragedia epocale. Due voci in esilio, lontane e pur così fuse in un comune sentimento: la testarda volontà di ridare un senso alla vita tra immagini e parole nell’utopia dell’arte. Poi la corrispondenza in quegli anni di guerra si fa sempre più rada limitandosi spesso a semplici saluti e auguri di compleanno. Ma non manca qualche bella notizia. Weiss ha conosciuto la pittrice Helga Henschen, che sposerà nel 1943 andando ad abitare in una piccola casa in mezzo a un bosco. Un raggio di luce che pur non fuga la sensazione che «questo mondo paralizzi – come scrive a Hesse nel dicembre del 1942 –. Si affonda lo sguardo in questa terribile notte, non si riesce più a lavorare, e ci si vorrebbe gettare in mezzo alla rovina». Ma a un anno di distanza, ricordando i suoi trascorsi soggiorni in Ticino, è colto da un fremito d’entusiasmo e sogna di dipingere su grandi pareti.

Mentre Hesse termina con successo il suo ultimo romanzo, Il gioco delle perle di vetro pubblicato a Zurigo nel dicembre del 1943, Weiss ritrova in un gruppo internazionale di scrittori e pittori l’entusiasmo per guardare con nuovi progetti al futuro, come confessa nel giugno del 1944. Farà ancora in tempo a inviare al maestro il suo libro autobiografico Congedo dai genitori del 1961 che Hesse definisce «tanto magnifico quanto terribile» e di cui elogia la maestria della lingua. Ma ormai l’allievo distoglie lo sguardo dalla provincia pedagogica di Castalia evocata da Hesse, consapevole com’è – confessa in una delle ultime lettere nel novembre del 1961 – che «la situazione dell’epoca pretende che lo scrittore non si perda mai nei recessi poetici del crepuscolo». Lo attende un futuro lontano dalla pittura, proiettato verso il teatro e la scena del confronto politico. Con una consapevolezza artistica che forse il Signor Mago, premio Nobel per la letteratura, gli aveva trasmesso con affettuosa amicizia.