Vi sono alcuni nomi, all’interno del panorama musicale internazionale, in grado di rappresentare, per così dire, una vera e propria «garanzia»: si tratta di rari, preziosi personaggi che calcano i palchi ormai da decenni e che, non avendo mai deluso le aspettative dei fan, costituiscono un patrimonio più unico che raro – soprattutto per quanto concerne l’attuale scena pop-rock di matrice angloamericana, sempre più spesso soffocata da insipidi fenomeni commerciali da classifica. È quindi stato con un innegabile sospiro di sollievo che chi scrive ha accolto la notizia dell’uscita di un nuovo lavoro dell’ormai ottantaduenne Leonard Cohen, senza dubbio uno dei migliori cantautori di lingua inglese che il ventesimo secolo ci abbia regalato. Stavolta poi la curiosità è ancora più forte del solito, poiché l’instancabile canadese ritorna sulle scene avvalendosi della collaborazione del figlio Adam, cantautore a sua volta e coproduttore delle nove tracce di questo attesissimo You Want It Darker.
Ebbene, che il buon Leonard faccia, anche stavolta, davvero sul serio lo si intuisce fin dalla traccia d’apertura, la suggestiva title track You Want It Darker, un brano potente e a tema biblico, che sfiora l’inno sacro (il termine «Hineni», modulato sia da Cohen che dai coristi, si riferisce alla parola «eccomi», che nella Genesi viene pronunciata da Abramo nel momento in cui Dio lo mette alla prova, a segnalare la sua disponibilità e volontà a dedicarsi al Signore). E in effetti, la componente religiosa sembra, come sempre avviene con Cohen, rivestire una certa importanza nell’immaginario e nelle tematiche di You Want It Darker; ma non si tratta di riferimenti alla religione canonica (all’ebraismo, al cattolicesimo o ad altro), quanto piuttosto di una generale allusione a un’atmosfera di raccolto, illuminante misticismo. È il caso della lenta ballata It Seemed The Better Way, la cui melodia si affida, come accaduto con la title track, a inquietanti e suggestivi cori dal sapore mistico – non a caso opera del Congregation Shaar Hashomayim Synagogue Chorus.
Quest’aura mistica si riscontra anche in Traveling Light, ballata che richiama da vicino brani del calibro di Dance Me To The End Of Love, conservandone appieno l’efficacia; proprio come accade con i lenti Leaving The Table e If I Didn’t Have Your Love, in cui ritroviamo il Cohen riflessivo e amaramente arguto di album come The Future (1992) e Ten New Songs (2001).
Certo, l’unico limite di questo eccellente disco risiede, paradossalmente, in quello che è anche il suo maggior punto di forza: l’ormai irrinunciabile «prevedibilità» a cui i fan del cantautore canadese sono da sempre abituati, e della quale, in effetti, non potrebbero più fare a meno. Musicalmente, Leonard suona sempre e comunque allo stesso modo, e il constatarlo non toglie nulla al suo fascino o alla grandezza della sua opera; tanto che la mancanza di apprezzabili variazioni stilistiche nel suo lavoro degli ultimi trent’anni passa in secondo piano davanti all’incredibile costanza mostrata dall’artista.
A quasi cinquant’anni dall’esordio, Cohen mantiene uno standard qualitativo altissimo, che non ha mai vacillato, né mostrato alcun segno di cedimento: e oggi, You Want It Darker conferma come ogni singolo brano da lui inciso sia tuttora pervaso da un fascino assoluto, che esula da qualsiasi considerazione relativa ai tempi o alla moda. Così, il marchio di fabbrica dell’artista – quel cantato che non è cantato, quanto piuttosto un cadenzato, meditato recitativo, intessuto su di una base musicale scarna ma ipnotica – rivive alla perfezione in questo nuovo lavoro: basta un pezzo come il ritmato Steer Your Way, impreziosito dall’accattivante accompagnamento offerto dagli strumenti ad arco, per rinnovare nell’ascoltatore un eterno senso di meraviglia, e questo nonostante l’innegabile somiglianza con altri pezzi storici del buon Leonard.
Forse in nessun brano ciò si fa evidente quanto nel toccante Treaty, il cui anticonvenzionale romanticismo, intriso delle metafore di stampo militare da sempre care a Cohen, non manca di colpire ancora una volta nel segno; mentre On the Level rappresenta invece uno di quegli esperimenti in cui il cantautore si avvicina di più alla forma canzone vera e propria, impiegando una melodia più spigliata e meno rigorosa, che esula in parte dall’abituale ritmo da metronomo da lui tanto amato.
Tali sensazioni pervadono l’intera tracklist: tanto che, una volta terminato l’ascolto del CD, la reazione più immediata è quella di una profonda, sincera gratitudine nei confronti di un artista che, a un’età in cui molti pensano soprattutto ad assicurarsi una confortevole pensione, ha ancora l’energia e il desiderio di rimettersi in gioco. Il che spinge a sperare e augurarsi che You Want It Darker non sia, come alcuni temono, il «canto del cigno» di Cohen, ma semplicemente un nuovo, eccellente capitolo nella sua incredibile avventura artistica – un’avventura di cui non potremo mai, in verità, stancarci.