Spielberg e le riflessioni profonde

La libertà di stampa, il ruolo della donna, l’America da Nixon a Trump
/ 05.02.2018
di Fabio Fumagalli

*** The Post, di Steven Spielberg, con Meryl Streep, Tom Hanks, Mark Rylance, Amy Ryan (Stati Uniti 2017)

Ha settantadue anni ma, da quasi una decina, sembra in via di mutazione. Steven Spielberg ha acuito le proprie esigenze morali: l’inventore geniale di squali ed extraterrestri si è fatto più attento al rispetto reciproco. Già Lincoln (2012) o Il ponte delle spie (2015) sottolineavano una specie di migrazione da parte dell’autore di Duel, E.T. e Indiana Jones. Quella che ormai sembra averlo allontanato dai magistrali divertimenti di un’arte che gli permetteva di proiettare i suoi protagonisti – esseri umani o meccanici che fossero – in una corsa in avanti. In una dinamica che si faceva estetica cinematografica, finendo per coincidere con un itinerario morale.

Quest’ultimo The Post sembra confermare come Spielberg abbia avuto il coraggio di affievolire notevolmente il suo marchio di fabbrica e la sua vocazione per avvicinarsi a un cinema che privilegi sempre più l’arte del Kammerspiel, in una partecipazione che si vuole più lucida e attenta all’intimità dei personaggi. Forte di una tradizionale capacità di fondere cinema e storia, ecco che in The Post si fa luce una riflessione sulle psicologie dei protagonisti, sulla loro eventuale umanità, piuttosto che su una esteriorizzazione aneddotica degli avvenimenti. Eccoci allora trasportati dall’epoca di Lincoln a quella di Nixon, del «Washington Post» e allo scandalo dei cosiddetti Pentagon Papers, premesse del Watergate e, perché no?, dell’epoca di Trump.

Non a caso, infatti, questo film girato d’impeto da Spielberg (interrompendo il progetto in corso, ossia il fantascientifico Ready Player One), parla di giornalisti e del ruolo delle donne (la proprietaria del «Washington Post» Katharine Graham è interpretata con il consueto impressionante autocontrollo da Meryl Streep), in lotta con chi detiene il potere. Parla anche del coraggio all’inizio degli Anni 70, del «New York Times» e quindi del «Post», di rivelare le settemila pagine volute dall’ex segretario della Difesa Mc Namara. Non solo sulla tragedia del Vietnam, ma su tutta la serie di menzogne che hanno attraversato le epoche di Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson fino a Nixon. A imitazione di Lincoln, The Post è girato, a parte l’incipit, in interni: si articola e progredisce sulle parole, le discussioni, le telefonate. C’è da sperare che la cronaca di quei fatti non sia stata vana. C’è da sperare, insomma, che il celebre ritorno di E.T. sul suo pianeta non sia stata un’illusione.