** Ready Player One, di Steven Spielberg, con Tye Sheridan, Mark Rylance, Olivia Cooke, Ben Mendelsohn (USA)
Da sempre, esistono due Steven Spielberg. Nel primo lungometraggio del 1971, Duel, i suoi due aspetti convivevano. Quella storia di una banale, pacifica utilitaria che tentava inutilmente di sorpassare un camion diceva già molto del futuro grande cineasta. Gli elementi quotidiani, più «normali» del film mutavano progressivamente; per terminare nell’irrazionalità più totale. Vieppiù minaccioso, l’autocarro diveniva qualcosa di astratto e la realtà si trasformava in fantasia.
Oggi l’artista settantaduenne firma il contemporaneo The Post, seguito a poche settimane dal futurista Ready Player One. Ma allo stesso modo, dalla metà degli Anni settanta, il regista aveva accostato Lo squalo ad Incontri ravvicinati del terzo tipo; poi, al I predatori dell’arca perduta il grande E.T. Nel 1993, La lista di Schindler usciva con Jurassic Park; mentre dieci anni più tardi Munich veniva accostato a La guerra dei mondi, gli alieni inventati da H.G. Wells già alla fine dell’Ottocento. Alla stessa logica sembra rispondere questo debordante blockbuster, Ready Player One, tratto dal romanzo di Ernest Cline e supercult per ogni addetto ai videogiochi; un’opera ambiziosa, agli antipodi di un film come The Post, incollato all’intimità dei personaggi.
Nell’Ohio del 2045 la popolazione immiserisce, assieme ai detriti della natura. Per sopravvivere, la gente si dedica all’uso costante dei visori di realtà virtuale creati da James Halliday. Un inventore a metà tra Steve Jobs e Steven Spielberg, che ha creato l’Oasis, un gioco destinato ad ammansire il popolo. Prima di morire, però, Halliday lancia un’ultima sfida: chi risolverà un enigma erediterà la sua sterminata fortuna. Oltre che, in pratica, il controllo della miserabile umanità negletta.
Halliday (Mark Rylance) ricorda forse lo Spielberg di oggi, confrontato alle proprie responsabilità industriali e artistiche. Mentre Wade (Tye Sheridan) è l’adolescente che, assieme al proprio avatar, si cimenterà nella competizione, rinviando così all’innocenza dello Spielberg degli Anni settanta.
Poiché Wade deve vincere rispetto ai perfidi concorrenti e non conosce che la cultura pop degli Anni ottanta, Ready Player One non può allora che strabordare nelle citazioni. Virtuose, certo, ma asfissianti, magistralmente assemblate, però assillanti. A Spielberg riesce l’immersione iconoclasta nei mitici ambienti di Shining; ma quando dilaga in una serie di citazioni e difficilmente identificabili riferimenti, il gioco si farà sterile e pesante.