Dove e quando
La Biennale di Venezia. 58. Esposizione Internazionale d’Arte. May You Live In Intersting Times. A cura di Ralph Rugoff. Venezia (Giardini e Arsenale). Fino al 24 novembre 2019. Catalogo, euro 85. Guida breve, euro 18. www.labiennale.org

Liu Wei, Microworld, 2018 (La Biennale di Venezia)


Sono tempi interessanti

Ralph Rugoff firma l’attuale Biennale di Venezia
/ 20.05.2019
di Gianluigi Bellei

Organizzare un’esposizione degna di questo nome richiede, come precondizione, un’idea sensata di quello che si vuole fare. Mettere delle opere a casaccio una di fianco all’altra non è mai la soluzione migliore. Molte volte si fa. Ma il risultato non è nemmeno uno spezzatino, che almeno ha un sapore di fondo uniforme. Le esposizioni maggiormente impegnative, anche per via degli spazi enormi e dilatati, come la Biennale di Venezia richiedono uno sforzo teorico non indifferente. Spesso funziona.

In altri casi si preferisce esporre tutto dAPERTuttO, incanalarsi verso personali visioni alchemiche o, magari, territoriali. Biennio dopo biennio, nonostante l’avvicendamento dei curatori, alla Biennale si è assistito a una parata di soliti nomi noti, raggranellati prevalentemente nelle gallerie economicamente più potenti, in una miscellanea che vede affiancati video, performance, sculture e qualche pittura. A parte alcune edizioni, come quella curata dal nigeriano Okwui Enwezor, che qui ricordiamo perché morto a soli 55 anni il 15 marzo di quest’anno.

Per allestire l’odierna Biennale è stato chiamato Ralph Rugoff, direttore della Hayward Gallery di Londra dal 2006, il quale l’ha intitolata May You Live In Interesting Times (più o meno «Che tu possa vivere in tempi interessanti»). Che questi decenni siano interessanti non sembra molto verosimile. A meno che non si sia sovranisti o neoconservatori. Questo in generale e dappertutto, appunto. Davanti ai cancelli dei Giardini ho incontrato, come sempre, Carmine Caputo di Roccanova, una vecchia conoscenza, che si presenta con un cartello legato al collo. Questa volta aveva scritto in inglese «Cerco moglie». Dopo i saluti di rito mi investe con tutte le «nefandezze» del territorio (stupri, assassinii, immigrati, disoccupazione…). Naturalmente ogni Paese ha i suoi problemi (muri, guerriglia urbana, antisemitismo, ebola…) dalla Francia alla Germania, dagli Stati Uniti all’Ungheria, dalla Libia alla Corea del Nord per finire in Gran Bretagna, con la Brexit. Cosa ci sia di interessante in questo bailamme lo diranno probabilmente gli storici.

L’arte viaggia su altri binari e allora scopriamo quelli di Rugoff. Secondo lui gli artisti sollevano domande più che dare risposte tramite approcci complessi ed eterogenei. L’arte non è un messaggio, ma segna dei punti di partenza e non delle conclusioni. Facendo sue le parole di un artista in mostra, Ian Cheng, Rugoff sostiene che «il vero scopo dell’arte, forse, dovrebbe essere lottare con il rapporto tra significato e assenza di significato». Citando – scusate ma il testo in catalogo è pieno di citazioni – il maître à penser radicale Cornelius Castoriadis (che piace tanto agli anarchici e fa radical-chic) osserva che l’arte «è una finestra aperta sul caos… La sostanza di tutta la vera arte prevede che, dietro ogni forma che essa crea, faccia capolino lo sconfinato caos dell’essere». Insomma, l’odierna Biennale si occupa di doppi, identità alternative e realtà parallele. Alla fine vivere in tempi interessanti significa vivere nello spazio espositivo, utilizzarne l’esperienza che ne deriva in un secondo momento e quindi avere la possibilità di modificare la propria «visione del mondo e la posizione che occupa al suo interno». Perché siamo persone con una vivace curiosità che ci fa porre sempre nuove domande. Se questo è il compito dell’arte ben venga. Purtroppo la quasi totalità delle persone, e di chi governa, tende solo a dare delle risposte: univoche e unilaterali. Senza mai porsi un dubbio e senza ascoltare l’altro.

Ma veniamo alla mostra vera e propria.

Prima di tutto una chicca: il Leone d’oro alla carriera è stato assegnato all’americano Jimmie Durham per le sue «opere critiche, divertenti e profondamente umanistiche». Faccio notare che oltre ad essere esposte in importanti musei, le sue opere sono state presentate anche al Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo nel 2017.

Quello che salta subito all’occhio di questa edizione è senz’altro il fatto che il numero degli artisti è notevolmente ridotto rispetto a quelle passate. «Solo» 79. La novità è che disponendo di così tanto spazio i 79 artisti sono presenti sia nel Padiglione centrale ai Giardini sia all’Arsenale. Due presentazioni distinte chiamate Proposta A e Proposta B. Difficile, se non dotati di ottima memoria, ricordarsi chi ha fatto cosa nell’uno e nell’altro spazio. Un buon consiglio è acquistare la guida breve prima della visita. Un altro aspetto di rilievo è che, contrariamente al passato, sono presenti molte opere pittoriche. Non certo di qualità esaltante. Parecchi artisti provengono da paesi del terzo mondo e quindi è ben rappresentata la diversa produzione internazionale. Infine, ma solo infine, si scopre che la maggior parte di loro sono donne. Lo hanno sottolineato tutti, ma facendolo si incorre in una doppia discriminazione. L’ampio spazio dell’Arsenale è stato poi chiuso da pannelli creando delle sale singole e facendo perdere di fascino la lunga e caratteristica navata.

Dovendo segnalare qualche lavoro citiamo quello di Shilpa Gupta di Mumbai. La sua installazione sonora è composta da una serie di voci registrate in diversi idiomi – fra i quali l’arabo, l’hindi, il russo e l’azero – che leggono versi di cento poeti incarcerati per il loro lavoro o per le loro posizioni politiche. Sotto il microfono che pende dal soffitto troviamo dei fogli con un verso stampato infilato in un alto supporto di ferro. Cameron Jamie di Los Angeles presenta una serie di maschere intagliate, ispirate da personaggi folcloristici di Perchten, pieni di corna e ciuffi di pelo di animali: spaventose e divertenti. Uno dei lavori sicuramente più validi è quello di Liu Wei di Pechino: Microworld del 2018. Forme arrotondate e sfere enormi per rappresentare il microscopico e il macroscopico.

Ai Giardini troviamo Nicole Eisenman di Vardun. I suoi dipinti raffigurano individui strani in un realismo un po’ infantile ma suggestivo. Tipico Morning Studio del 2016: intrigante, innocente e peccaminoso allo stesso tempo. Infine fra le varie mostruosità i cinesi Sun Yuan & Peng Yu propongono un enorme robot che con una pala sposta del liquido rosso all’interno di una determinata area che poi si espande di nuovo.

Al termine del percorso deciderete voi se quello che avete visto ha «modificato la vostra visione del mondo» e vi ha aperto la mente. A partire dalla vista del peschereccio pieno di migranti affondato nel Mediterraneo il 18 aprile 2015 il cui relitto è stato posizionato da Christoph Büchler all’esterno delle Corderie.