Sono sempre troppo poche

Cosa mi metto? Il culto della scarpa
/ 19.08.2019
di Maria Bettetini

Scarpe: non bastano mai. Come le borse, non c’è femmina da che ha uso di ragione, che pensi anche solo lontanamente di avere un numero sufficiente di borse e scarpe. Manca un colore, uno stile, qualcosa di indispensabile. Poi il retaggio culturale: il Gatto con gli stivali, Cenerentola, tragici influssi per la nostra gioventù, stivali che vanno al ritmo delle sette leghe e non impacciano il portatore, scarpette di cristallo per ballare e correre senza difficoltà, anzi, così belle e piccole, da cui il senso di vergogna delle ragazze, che oggi spesso portano il 43. Attualmente devono acquistare scarpe da uomo, ma «verrà il giorno» in cui troveranno scarpe da ballo.

In verità, per alcuni numeri sono già disponibili dei gioielli, Jimmy Choo, Louboutin. Riconoscibili, queste ultime, dalla suola rossa, oltre a un prezzo che sfamerebbe un’intera famiglia per un mese. Tendenzialmente non sono, tutte queste, comodissime, tacco alto a stiletto, definizione a punta, minima presenza del cuoio per aiutare l’appoggio del piede. Si tratta, evidentemente, di calzature inadatte alla vita quotidiana, non per il supermercato, per accompagnare i bambini al parco, per ritirare le cose in lavanderia. D’altra parte, dove pensava di andare Cenerentola con le scarpe di cristallo? Due giri di ballo e già sulla scalinata si perde una delle due scarpette, che misteriosamente non ridiventano ciabatte, come la carrozza torna zucca. Che belle le fiabe, nelle loro assurdità.

Ma torniamo a noi, a Carrie Bradshaw di Sex and the City, che non ha solo raccontato del rapporto tra la donna e le scarpe, ma ha proprio impersonato il rapporto feticistico tra l’una e le altre, eccessivo (che cosa cambia nella vita di una donna alla scarpa milleunesima?) e vanesio (ogni occasione è buona per mostrare piedi nudi, polpaccio sottile, smalto perfetto). Poi, come si viva tra quelle scarpe, è un altro discorso. Che per la donna normale ricorda più che l’alta moda i racconti sullo stivaletto malese, quello strumento di tortura orientale, che stringeva i piedi del prigioniero fino a stritolarli. Dolgono le parti dolenti, se ne creano di nuove.

Desiderate solo una tinozza di acqua fresca, basterebbe quella limonata della caraffa di cristallo. C’è una soluzione, fingere di avere così fame e sete da essere costrette a sedervi. Nell’elegante cena in piedi, come usa adesso, voi i piedi li estraete dallo stivaletto malese. Ma così vi esponete al terribile rischio dell’arrivo di qualcuno: baci, abbracci, battute, mentre le vostre estremità inferiori disperatamente cercano i loro stivaletti malesi, li trovano, non entrano più! Vi mettete in punta di piedi, come se indossaste scarpette di cristallo, invisibili. Ma qualcuno ha mai pensato alla sofferenza di Cenerentola, costretta in calzature più rigide dei sandali tedeschi?