Il poeta latino Orazio diceva che uno scrittore serio prima di dare fuori un libro doveva lasciarlo almeno nove anni in un cassetto. Se rileggendolo, trascorso quel periodo, scopriva che il suo contenuto aveva retto alla prova dei tempi, allora valeva davvero la pena di renderlo pubblico. Danilo Moccia, eccellente trombonista ticinese, per la pubblicazione del secondo disco della band Slidestream ha atteso ben 17 anni. Il suo lavoro, quindi, sembra tutt’altro che un’opera estemporanea, un’uscita «improvvisata», in senso letterale. «I pezzi registrati su questo disco in realtà erano preparati da tempo, almeno 6 o 7 anni» ci spiega Moccia. «Avremmo dovuto inciderli molto tempo fa ma uno dei componenti del gruppo ha avuto un problema di salute e di conseguenza tutto si è fermato».
Occorre chiarire che Slidestream è una formazione veramente inusuale nel panorama jazzistico elvetico (e anche europeo). È nata quasi due decenni fa con l’obiettivo di valorizzare il suono e il ruolo del trombone nell’ambito della creazione jazz. Lo strumento, è vero, è un «veterano» nella storia della musica nero-americana, ed era entrato a far parte della dotazione delle primissime orchestre fin dalle origini di questo stile. Ma è solo a partire dal dopoguerra, grazie al contributo di alcuni eccezionali artisti, che ha trovato una propria fisionomia moderna e un ruolo solistico di rilievo.
Moccia, senza dubbio alcuno uno dei migliori trombonisti del Vecchio Continente, vent’anni fa ha riunito attorno a sé altri due ottimi commilitoni, Vincent Lachat e Stefan Schlegel, e ha messo in piedi un interessante repertorio. Le tre voci degli ottoni, calde e swinganti, sono armonizzate in modo magistrale e con i loro temi a tre voci generano un sound affascinante, calibratissimo. Il primo disco degli Slidestream era del 2000: si chiamava Cat Eyes ed era stata una vera rivelazione. A distanza di tempo, ecco i tre amici (accompagnati da Stefan Stahel al pianoforte, Christof Sprenger al contrabbasso e Elmar Frey alla batteria) tornare in sala d’incisione dopo essersi esibiti spesso in giro per la Svizzera con la loro raffinata band.
«I pezzi del nuovo disco li abbiamo suonati spesso nei nostri concerti, quindi entrando in studio eravamo molto rilassati e pronti. A quel gruppo di brani ne ho aggiunti alcuni altri, perché io continuo comunque a scrivere e a mettere pezzi da parte, per quando si presenta la buona occasione. Senza contare che mi piace anche arrangiare brani standard, di modo che abbiamo un repertorio abbastanza ricco. Grazie al contatto con DRS Kultur Zwei abbiamo avuto modo di tornare in sala di incisione».
Da un punto di vista stilistico, tra i due album non sono successe particolari rivoluzioni. La personalità musicale di Moccia compositore e arrangiatore si ritrova qui perfettamente riconoscibile. La sua coerenza, la sua dedizione per il bel suono «rotondo» è un marchio di fabbrica che garantisce la buona fattura e soprattutto il buon gusto dei suoi lavori. Non che non gli piaccia frequentare anche territori musicali più accidentati ed estemporanei, anzi, ma occorre dire che in Slidestream il jazz viene sicuramente visto nei suoi aspetti eleganti e «mainstream».
«A prodotto finito posso dire di essere soddisfatto» ci dice Danilo Moccia. «Si sente che siamo un buon gruppo. Il fatto che sia passato tanto tempo dal primo disco non può che mostrare la nostra maturazione personale. I pezzi comunque durante la registrazione sono leggermente cambiati, a seconda dell’atmosfera che volevo creare. Ho cercato di sviluppare una situazione diversa in ognuno dei tredici brani, in modo da ottenere un suono variato. Lachat stesso è stato molto sorpreso dal risultato. Mi ha detto che grazie al disco per la prima volta ha avuto un’idea del suono complessivo. In genere suonando a sezioni si è portati a sentire solo quello che si fa: anche in sala di registrazione eravamo separati dagli altri, in una stanza da soli».
Come si sa Moccia predilige un approccio compositivo molto rigoroso e legato alla partitura. Per lui non si tratta di far nascere i pezzi in sala di incisione, come succede molto spesso tra i jazzisti, sfruttando le intuizioni e gli arrangiamenti nati spontaneamente.
«Io scrivo i pezzi come farei per una big band. Mi aspetto quindi di far nascere il suono che ho immaginato e che i musicisti lo realizzino leggendo lo spartito. Come detto cerco di creare un suono omogeneo, che generi varietà usando la varietà dei timbri. D’altro canto compongo molto e alla fine erano veramente molti i pezzi pronti».
Sono infatti ben 13 i brani contenuti in Strade diverse, tra cui una piccola suite in tre movimenti. «Il disco è uscito da un mese; il suo canale di distribuzione... sono io. Per ordinarlo si può fare riferimento al sito www.slidestream.ch. Di fatto il CD serve anche per farci conoscere dagli organizzatori di concerti. Posso anticipare a chi vuole sentirci in Ticino che suoneremo il 20 ottobre a Coglio, in Valle Maggia, in occasione di Autunno Jazz».