Scivoli, altalene, girelli: sono legati ai nostri ricordi d’infanzia. Ma i parchi gioco sono molto di più. Lo si intuisce visitando la mostra The Playground Project sulla storia internazionale dei parchi ludici, che era partita dal Carnegie Museum of Modern Art di Pittsburgh nel 2013 e che ora fa tappa – in versione purtroppo ridotta – a Lugano negli spazi dell’Istituto internazionale di architettura i2a di Villa Saroli, in collaborazione con la Kunsthalle di Zurigo e la Pro Juventute.
La storia dei parchi gioco riflette da un lato i progressi degli studi di pedagogia infantile, dall’altro lo sviluppo dell’architettura urbana. Se già negli anni Trenta del secolo scorso si comincia a innovare e sperimentare grazie anche alla riconosciuta importanza del gioco nello sviluppo infantile, il movimento del Sessantotto imprime un nuovo slancio, anticipato dal ruolo di pioniere della Danimarca dove si realizzano parchi gioco realizzati collettivamente da bambini e adulti. Un principio ripreso e sviluppato nei primi anni Settanta dall’architetto italiano Riccardo Dalisi che conduce un esperimento in un rione di Napoli. Propugnatore di una tecnica povera e di un’architettura «spontanea», Dalisi descrive così un pomeriggio al Rione Traiano: «A gruppi di 2 o 3 (i bambini) martellavano, componevano oggetti spaziali usando liberamente i modi di elaborazione che avevano visto tra gli studenti: hanno trattato le aste, le balestre, i tiranti, secondo una logica che non osavo immaginare potesse sgorgare così facilmente». Quello di Dalisi diventa anche un esperimento socio-politico che sprigiona una creatività collettiva, in cui la competizione rappresenta uno stimolo e non una forza «selettiva e regressiva». In quegli stessi anni il gruppo francese Ludic, di cui sono documentati i progetti dei parchi nel centro di Parigi a Les Halles e a le Havre nel 1970, costruisce strutture innovative recuperando materiali industriali.
Negli anni Ottanta questa effervescenza si stempera nella convenzione dettata dalle norme di sicurezza, la nuova parola d’ordine che finisce per omologare le strutture dei parchi giochi. Le tendenze più recenti invece sembrano confermare una nuova consapevolezza: architetti e progettisti di parchi gioco si sono riappropriati di quelle che non sono semplici aree di svago, bensì spazi urbani da trasformare in luoghi per tutta la comunità, da integrare nel tessuto urbano o nell’ambiente circostante, pensando anche alla loro sostenibilità ambientale. E non occorre andare nei Paesi Bassi o in Giappone per trovare progetti innovativi, come dimostra la sezione appositamente dedicata al Ticino. Si va dai progetti curati dall’associazione Radix ad Ascona e Osogna, realizzati coinvolgendo i genitori, al parco di Bioggio che ha visto la collaborazione fra architetti, un designer tedesco che ha privilegiato strutture dinamiche ed entropiche e l’artista Sandra Snozzi: «Sono stata contattata per la progettazione e l’esecuzione delle decorazioni murali; – ci spiega l’artista – si tratta di bassorilievi colorati, che riproducono in chiave stilizzata l’evoluzione della vita a partire dai microorganismi, alle prime forme vegetali, ai pesci, per poi continuare con gli uccelli e i mammiferi. Non da ultimo, l’essere umano. I fori realizzati nel muro stesso, attraverso i quali i bimbi possono comunicare dall’una all’altra parte del muricciolo, simboleggiano un volto scomposto (occhi, bocca, grande naso)».
L’artista Lorenzo Cambin ha affiancato per un certo periodo questa attività al suo lavoro di scultore. «Nei due casi – ci racconta – in quello di Sorengo e quello di Sant’Antonino ho cercato di creare degli spazi che si avvicinano molto al mio fare artistico, con un apparente disordine, studiato prima con dei modellini in scala e così anche più facili da seguire per l’esecuzione. Inoltre la conformazione del terreno ha sempre la sua importanza; chiaramente non è il caso di spostare montagne di terra per creare una immagine plastica volumetrica; i tronchi di legno di castagno per me non devono essere diritti come in tanti altri parchi gioco; anzi più storti e malformi sono, meglio riesco a cercare di reinterpretare la natura, come fossero ciuffi d’erba giganti al vento; all’interno di questi volumi, in seguito, costruisco dei percorsi d’equilibrio per i ragazzi magari con aggiunta di elementi d’arrampicata o bilanciamento». E la sicurezza? «Fin dall’inizio – continua Cambin – mi sono sempre scontrato con problemi di sicurezza (il parco di Lugaggia e di Sonvico sono stati eliminati perché troppo pericolosi); in seguito mi sono adeguato alle norme assicurative; quelli che resistono è perché sono praticamente «piatti». I pali storti sono prediletti anche da Johanna Schönenberger, per esempio nel suo parco di Breganzona dove i bambini possono arrampicarsi su case sospese su palafitte.
A Viganello – nel recentissimo parco di Via Taddei, il primo in Ticino sovvenzionato dalla Fondazione Denk an mich – i progettisti hanno integrato obiettivi di integrazione sociale, disegnando aree e giochi adatti anche a bambini con disabilità, nell’intento di creare, nel cuore di un quartiere, un parco giochi per tutti, inserendolo nel contesto abitato «come un’oasi verde che si contrappone alla rigida geometria degli edifici circostanti con curve sinuose e spazi fluidi». Del resto i parchi gioco vengono definiti come «parti organiche dello spazio pubblico» da Elger Blitz, architetto e fondatore di Carve, studio olandese di progettazione specializzato in parchi ludici. Accanto ai parchi «prescrittivi», che dicono ai bambini di giocare, ci sono quelli invece che «facilitano l’imprevedibile», che crescono insieme ai bambini e quindi stimolano davvero la creatività, considerando anche che non tutto quello che piace e fa giocare un bambino è necessariamente bello.
Insomma le sfide architettoniche implicite in un parco giochi sono più complesse di ciò che si potrebbe pensare, tanto che Martha Thorne, direttore esecutivo del Premio Pritzker, ha dichiarato: «in futuro gli incarichi più ambiti potrebbero essere quelli per la progettazione dei parchi giochi urbani».